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2022-11-15 16:57:10 By : Ms. Jenny Guo

Autore Massimo Agnoletti, Ph.D. Psicologo, Dottore di ricerca Esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica. Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto. Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE)

La recente scienza dei Telomeri permette di identificare e quantificare a livello molecolare cos’è lo Stress Positivo (Eustress) distinguendolo da quello negativo (Distress).

The current concept of Stress lacks an operational and molecular distinction between Negative Stress (Distress), the cause of psycho-neuro-endocrine-immunological problems that reduce the expectation and quality of life, and Positive Stress (Eustress) which preserves and promotes health and psychophysical well-being by lengthening and improving the quality of life. The science of telomeres, the chromosomal structures that determine cellular longevity that can be measured, offers an original and operational perspective at a molecular level that is valuable for distinguishing Distress from Eustress.

L’attuale concetto di Stress deficita di una distinzione operativa e molecolare tra lo Stress Negativo (Distress), causa di problematiche psico-neuro-endocrino-immunologiche che riducono l’aspettativa e la qualità di vita, e lo Stress Positivo (Eustress) che preserva e promuove salute e benessere psicofisico allungando e migliorando la qualità di vita. La scienza dei telomeri, le strutture cromosomiche che determinano la longevità cellulare che possono essere misurate, offre una prospettiva originale ed operativa a livello molecolare preziosa per distinguere il Distress dall’Eustress.

Il concetto di Stress attualmente condiviso all’interno della comunità scientifica si basa principalmente sull’assunto che vi sia una specifica attivazione psico-neuro-endocrino-immunologica (definita anche “Stress Response”) finalizzata a ripristinare il preesistente equilibrio fisiologico dell’organismo minacciato da un agente stressante(esterno o interno rispetto l’organismo).

In questo scenario teorico l’agente stressante rappresenta sempre una perturbazione di un equilibrio (omeostatico o allostatico) dell’organismo quindi vi è stata quasi sempre la tendenza ad identificare con una connotazione negativa sia l’agente stressante che la sua reazione psico-neuro-endocrino-immunologica se non nel caso in cui questa coincida con lafinalità difensiva di fronte ad un pericolo imminente di sopravvivenza per l’organismo (Stress Acuto).

In generale, in questo contesto teorico, tutte le attivazioni psico-neuro-endocrino-immunologiche non finalizzate a risolvere un problema di sopravvivenza imminente sono considerate svantaggiose per l’organismo infatti sono in genere definite come Stress Negativo perché riducono la fitness biologica dell’organismo.

Sempre seguendo la logica di questi assunti relativi lo Stress, l’attivazione prolungata della Stress Response è sempre considerata negativa tanto che il termine Stress Cronico (che di per sé significa Stress che perdura nel tempo) è attualmente considerato sinonimo di attivazione psicofisiologica svantaggiosa a prescindere dalla natura dello stesso Stress non accettando la possibilità che esista uno Stress Cronico Positivo (Agnoletti, 2022).

Questa visione riduzionistica dello Stress sottostima grandemente gli aspetti e le finalità psicologiche e sociali di questo importante meccanismo psicofisico negando l’ormai riconosciuta ed imprescindibile integrazione tra gli aspetti mentali e quelli biologici che caratterizzano la specie umana (Agnoletti, 2021a; Agnoletti, 2022).

Risulta facile capire quindi perché, in questa visione dello Stress, non trovi attualmente un posto epistemologico lo Stress Positivo caratterizzato ad esempio da emozioni positive di gratificazione non contestualizzabile in una funzione difensiva per la sopravvivenza (pur essendo uno dei bisogni umani più basilari, frequenti e caratterizzanti la specie umana).

Il padre del concetto di Stress Hans Selye (1976), così come molti altri eccellenti autori come Lazarus & Folkman (1987), McEwen (2007), Sapolsky (2006) e Chrousos (2009), hanno nel tempo accumulato molti dettaglisulla natura psicologica, fisico-chimica, fisiologica e molecolare del concetto di Distress senza mai approfondire la natura dello Stress Positivosempre facente parte di questo fondamentale meccanismo biologico adattativo che non possiede unicamente funzioni difensive finalizzate a preservare o ripristinare l’omeostasi dell’organismo.

Chrousos e Agorastos (Agorastos & Chrousos, 2021) sintetizzano il concetto classico di Stress in modo paradigmatico affermando che: “Lo stress è definito da uno stato di minaccia all’ equilibrio omeodinamico da un’ampia gamma di sfide o stimoli intrinseci o estrinseci, reali o percepiti, definiti come fattori di stress. Per preservare questo stato omeodinamico ottimale all’interno di un intervallo fisiologico, gli organismi hanno sviluppato un sistema altamente sofisticato, il sistema dello stress, che serve all’autoregolazione e all’adattabilità dell’organismo mediante il re-indirizzamento dell’energia in base alle esigenze presenti.”.

Anche in questa precisa definizione si comprende chiaramente quanto l’orientamento sia quasi esclusivamente focalizzato sull’aspetto biologico dell’organismo senza far riferimento ai suoi aspetti altrettanto psicologici e socioculturali altrettanto importanti.

La definizione in oggetto include l’espressione “…un’ampia gamma di sfide o stimoli intrinseci o estrinseci, reali o percepiti, definiti come fattori di stress” che potrebbe far pensare ad una concettualizzazione più ampia di quella attualmente intesa ma il resto della definizione sembra essere contradditoria con quest’espressione perché si fa riferimento alla frase “Per preservare questo stato omeodinamico ottimale all’interno di un intervallo fisiologico…”.

Naturalmente non sto negando qui l’importanza del fondamentale livello fisiologico-biologico ma ci tengo a sottolineare che, all’interno delle evidenze scientifiche attualmente disponibili dove si sottolinea con sempre maggiore forza l’alta integrazione umana tra i piani informazionali biologici, psicologici e socioculturali, una moderna definizione di Stress dovrebbe essere coerente con essa per evitare un riduzionismo irrealistico che non riesce a rappresentare la complessità umana (Agnoletti, 2020; Agnoletti, 2021a;Agnoletti, 2022).

Attualmente, infatti, si parla di Stress Positivo solo se la reazione di Stress è finalizzata a preservare la sopravvivenza, in tutti gli altri casi,lo ribadisco, si parlerà di Stress Negativo.

Faccio notare che in questa definizione Positivo e Negativo hanno un senso solo ed esclusivamente sul piano teleonomico biologico non psicologico né tantomeno socioculturale.

Ho il sospetto che il successo della ricerca biomedica sullo Stress Negativo soprattutto nelle sue dinamiche molecolari (Stress ossidativo, Radicali liberi, Ages, etc.) ha, nel tempo, ulteriormente focalizzato il paradigma dello Stress come fattore essenzialmente negativo tanto che vi è un generale paradosso consistente nel fatto che se da una parte quasi tutta la comunità scientifica è concorde a livello concettuale nell’ammettere che esiste anche uno Stress Positivo (talvolta anche diverso dal meccanismo del “Fight or Flight”) è altrettanto monolitica nel non ammettere concettualmente l’esistenza, a livello biomolecolare,dello Stress Positivo.

A confermare quanto appena affermato, attualmente, per la maggior parte di studiosi, parlare degli effetti dello Stress Positivo a livello molecolare risulta essere un concetto quasicontraddittorio.

Il gap teorico che ho appena descritto è reso evidente, ad esempio, dalle molte ricerche che ci dimostranoquanto le persone ottimiste o che gestiscono efficacemente lo stress psicosociale siano anche più longeve quindi più performanti dal punto di vistadella fitnessbiologica (Epel et al., 2004;Lee et. al, 2019; James, et. al, 2019).

Seppure tutti i meccanismi causali non siano attualmente chiariti vi è senza dubbio un rapporto tra l’aspetto psicologico e quello che determina la differente longevità quindi vi deve essere un livello, attualmente grandemente sottovaluto, fisiologico ed epigenetico cellulare di queste dinamiche.

Questo è il motivo per cui sono sempre più convinto che per cambiare paradigma dello Stress aggiornandolo con un paradigma più complesso e realistico che includa anche lo Stress Positivo, occorra una definizione che includa la dimensione del significato (Agnoletti 2020; Agnoletti 2021a) e che abbia anche una definizione operativa molecolare chiara quanto quella già disponibileper lo Stress Negativo (Agnoletti, 2022a).

A mio avviso, grazie alle scienze dei Telomeri, i tempi sono maturi per definire anche lo Stress Positivo a livello molecolare ecco perché adesso introdurrò velocemente il tema dei Telomeri prima di presentare quella che per me èil meccanismo che dimostra l’operazionalizzazione sul piano molecolare dell’Eustress.

In genere per spiegare il ruolo e la funzione dei telomeri si usa la metafora dei “terminali” plastificati dei lacci delle scarpe dove i lacci stessi rappresentano l’informazione genetica del nostro DNA.

La metafora riesce a comunicare facilmente l’importanza dei telomeri nel garantire la struttura del nostro contenuto genetico scongiurando di conseguenza la situazione in cui l’informazione contenuta nel nostro patrimonio genetico non sia più utilizzabile dai processi cellulari determinandone il degrado e la morte cellulare stessa che in termini di organismo sono rappresentati da molte problematiche psicofisiche come problemi cardiovascolari, immunologici, etc.

I telomeri ad ogni divisione cellulare si accorciano progressivamente, e questo graduale processo di accorciamento rappresental’“invecchiamento” cellulare e quindi l’aspettativa di vita residua.

Uno speciale enzima chiamato “telomerasi” riesce a contrastare, anche se parzialmente, l’effetto di consumo dei telomeri aggiungendo basi alla loro struttura molecolare rallentando quindiil ritmo di invecchiamento cellulare (Andrews & Cornell, 2017; Armanios, 2013; Blackburn, 1991; Blackburn, 2010).

Mentre quindi alcuni fattori “accelerano” l’accorciamento dei telomeri perché limitano l’azione ricostruttiva dalla telomerasi (si pensi ad esempio al fumo, la bassa qualità/quantità di sonno, la sedentarietà, al distress cronico, al rimuginio frequente, la depressione, il pessimismo, l’alimentazione scorretta, etc.) altri fattori “rallentano” il ritmo di accorciamento telomerico dovuto alla replicazione cellulare perché attivano più efficacemente la telomerasi (meditazione, una regolare attività motoria, una corretta nutrizione, una corretta qualità del sonno, etc.).

Questa particolare dinamica è stata definita dal dr. Bill Andrew, biologo di fama mondiale anche per aver diretto il gruppo di ricerca che ha identificato per la prima volta l’enzima telomerasi, “tug of war”, cioè “tiro alla fune” perché l’accorciamento in termini assoluti dei telomeri è determinato dal risultato delle forze che tendono a contrastare l’accorciamento telomerico riducendo l’attività della telomerasi e le forze che agiscono esattamente in senso opposto (Andrews & Cornell, 2017).

Sia a livello clinico, di promozione e prevenzione della salute psicofisica è dunque fondamentale possedere telomeri che compiono il loro fisiologico accorciamento in maniera più lenta possibile rafforzando la capacità della telomerasi affinché sia possibile estendere quanto più possibile la nostra longevità residua oltre che la non meno importante qualità di vita in termini di vulnerabilità nei confronti di problematiche cardiocircolatorie, immunitarie e molte altre tutte connesse con il consumo telomerico (Agnoletti, 2018a; Agnoletti, 2018b; Agnoletti, 2018c).

Attualmente i telomeri sono considerati il nostro orologio biologico più affidabile essendo così strettamente connesso con l’invecchiamento cellulare, la nostra longevità e la probabilità di essere o meno vulnerabili a tutta una serie di problematiche psicofisiche (Andrews & Cornell, 2017; Armanios, 2013).

Alla luce di quanto descritto sopra è quindi ora possibile proporre una definizione operativa di Stress Positivo nel senso che, così come vengono definiti fattori stressanti negativi tutti quei fattori che influenzano negativamente sulla lunghezza assoluta dei telomeri attraverso il basso funzionamento della telomerasi, possono essere altresì  intesi come stressanti positivamente quei fattori che funzionano facendo attivare maggiormente la telomerasi determinando quindi un rallentamento del ritmo di consumo dei telomeri stessi.

Come definizione di Stress Positivo a livello molecolare potremmo quindi affermare che sono tutti quei fattori epigenetici che aumentano l’attività della telomerasi con il risultato di rallentare il processo di accorciamento dei telomeri con i derivanti benefici in termini di minor invecchiamento cellulare.

Al pari dello Stress Negativo che impatta a livello epigenetico esattamente nella direzione opposta, lo Stress Positivo trova quindi una sua collocazione anche molecolare che ben si accorda con una visione psico-neuro-endocrino-immunologica all’interno del paradigma bio-psico-sociale dove le componenti socioculturali e psicologiche hanno il loro corretto riconoscimento anche nell’influenzare le dinamiche fisico-chimiche caratteristiche della dimensione biologica.

La lunghezza assoluta dei telomeri ed il loro ritmo di accorciamento sono quindideterminati epigeneticamenteda molteplici fattori quali l’esposizione a fattori stressanti negativamente ma anche relativi lo Stress Positivo, in termini di benessere psicologico, gli stili di vita che adottiamo (motori, alimentari, del sonno, etc.) e molti altri fattori (Armanios & Blackburn, 2012; Blackburn, Epel & Lin, 2015; Calado & Young, 2009; López-Otín et al. 2013).

La definizione operativa molecolare di Stress Positivo e di Stress Negativo ha senso all’interno di un concetto di Stress che include tutte le teleonomie bio-psico-sociali caratterizzanti la specie umana (Agnoletti, 2020; Agnoletti, 2021a; Agnoletti, 2021b Agnoletti, 2022)perché solo cosìè possibile distinguere l’impatto dello Stress, ad esempio,dai processi oncologici connotati da una telomerasi molto attiva che pur determinando una virtuale assenza di invecchiamento cellulare delle cellule tumorali, rappresenta naturalmente una teleonomia biologica che interferisce e danneggia quelladell’organismo nel quale di sviluppa.

Nei termini della bella metafora del “tiro alla fune” dei telomeri coniata dal dr. Bill Andrew, che ho il piacere di conoscere personalmente, il risultato del ritmo di riduzione dei telomeri avviene dalla sommatoria dello Stress Negativo e da quello Positivo che impattano sull’attività dell’enzima telomerasi tramite l’effetto “imbuto dei telomeri” dello varie componenti epigenetiche (Agnoletti, 2019).

All’interno del settore della Psicologia Epigenetica (Agnoletti, 2018c), la definizione operativa di Stress Positiva e di Stress Negativo permette di poter esplorare empiricamente l’impatto delle influenze cognitive, emotive e motivazionali a livello molecolare e cellulare con importanti potenziali implicazioni per la promozione del benessere psicofisico delle persone sia a livello clinico che non.

Agnoletti, M. (2022). Il moderno concetto di stress necessita di concettualizzare edoperazionalizzare anche lo stress positivo. State of Mind, 1.

Agnoletti, M. (2021a). La dimensione del significato è necessaria per comprendere la distinzione tra eustress e distress. Medicalive Magazine, 9, 8-15.

Agnoletti, M. (2021b). L’epigenetica e l’olobionte umano-microbiota. Medicalive Magazine, 5, 19-26.

Agnoletti, M. (2020). La differenza tra stress positivo e negativo non è solo di natura quantitativa. Medicalive Magazine, 11, 25-30.

Agnoletti, M. (2019). L’Effetto Imbuto o Effetto Collo di Bottiglia dei telomeri, Medicalive Magazine, 5, 19-21.

Agnoletti, M. (2018a). L’Asse psiche-telomeri ecco come la mente influenza l’invecchiamento. PNEINEWS, 5, 4-9.

Agnoletti, M. (2018b). La Scienza dei Telomeri. Come sta cambiando radicalmente il concetto d’invecchiamento con importanti conseguenze sul piano della salute e del benessere psicofisico umano. Medicalive Magazine, 8.

Agnoletti, M. (2018c). La nuova frontiera della psicologia: la Psicologia Epigenetica. State of Mind,10.

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McEwen, B. S. (2007). Physiology and neurobiology of stress and adaptation: central role of the brain. Physiol. Rev. 87, 873–904.

Sapolsky, R. (2006). Perché alle zebre non viene l’ulcera? Orme Editore, Milano.

Selye, H. (1976). Stress in health and disease. Butterworth’s, reading, Massachusetts.

Oltre 12milioni di italiani attendono quotidianamente una risposta al loro bisogno di “sconfiggere” il dolore (oncologico, acuto, severo o cronico). Il loro bisogno non rimandabile è stato al centro della tavola rotonda socio-politica che SIAARTI ha promosso all’interno del suo Congresso nazionale ACD.

Nell’occasione ha portato il suo saluto anche Antonio Gaudioso, capo della segreteria tecnica del Ministero della Salute, che ha sottolineato l’importante lavoro svolto negli anni da anestesisti-rianimatori nell’ambito della terapia del dolore, ringraziando per “l’impegno che questa professione ha profuso a servizio dei cittadini in una fase durissima. Ma il ringraziamento non si deve disgiungere da un duplice impegno comune: da un lato occorre lavorare insieme ed alacremente per realizzare tutte le azioni ancora non attuate della Legge38, dall’altro per connettere tutti questi pezzi con la riforma dei servizi territoriali”.

Durante il dibattito sulla terapia del dolore e sul cammino che deve ancora fare la Legge 38/2010, Tiziana Nicoletti (Cittadinanzattiva) ha dichiarato che occorre “prima di tutto assicurare un’attenzione continua e senza tregua verso quella legge innovativa, che purtroppo attualmente rimane una norma poco conosciuta dai cittadini”, e non applicata in modo omogeneo sul territorio nazionale. “È il momento di utilizzare parole chiare”, ha sottolineato Nicola Pazienza (XII Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati), “Come politici ed istituzioni dobbiamo essere protagonisti nell’attuazione della 38/2010, sfruttando proprio l’attuale periodo in cui c’è una rinnovata attenzione di tutti verso le problematiche della salute pubblica”. Si tratta di operare congiuntamente affinché affinché le Reti di terapia del Dolore siano assicurate su tutto il territorio, evitando differenziazioni, assicurando competenze specifiche e garantendo la presa in carico di tutti i pazienti. Un messaggio che da Firenze è stato lanciato con convinzione da tutti i partecipanti al Congresso SIAARTI.

Durante l’evento odierno a cui ha partecipato con un video-contributo anche la senatrice Paola Binetti (oltre a Lorena Martini, Agenas e Franco Vimercati, FISM) l’impegno di SIAARI sulla cura del dolore è stato poi confermato dal presidente della Società, Antonino Giarratano, e dalla coordinatrice dell’evento, Alessia Violini: un impegno che si concretizzerà nei prossimi mesi con la creazione della “cartella SIAARTI per la terapia del dolore” (illustrata da Alessandro Vettori) e con l’avvio del progetto “Registro dolore cronico”, presentato a Firenze da Silvia Natoli.

Nell’evento è stato nuovamente rilanciato il Manifesto Sociale contro la Sofferenza prodotto da SIAARTI, documento che identifica le “dieci azioni necessarie per affermare il diritto alla terapia del dolore cronico” come può esserlo il dolore oncologico. Il Manifesto, presentato e diffuso a partire dallo scorso dicembre in tutti i luoghi di cura italiani è già stato condiviso, firmato e sostenuto da un vasto team di sottoscrittori composto da Associazioni dei cittadini ed altre Società scientifiche: AIFI-Associazione Italiana di Fisioterapia; AISD-Associazione Italiana Studio Dolore, AOGOI-Ostetrici Ginecologi Ospedalieri, Cittadinanzattiva, Fondazione Onda, Italia Longeva, Senior Italia-Federanziani, Federdolore, SID, SIGE, SIGO, SIGOT, SIMFER, SIMG, SIN, SIN-RENI, SIOT.

Le fratture di polso vengono spesso sottostimate nella loro gravità, lasciando un grave gap funzionale nel caso di una mal guarigione. Si è dimostrato che nelle frattura scomposte e a più alta complessità, una chirurgia immediata, con mezzi di sintesi adeguati, porta ad una migliore guarigione e ad una più rapida ripresa delle proprie attività sociali e lavorative. La prolungata immobilizzazione in apparecchio gessato porta a guarigione, ma allungando sensibilmente i tempi di recupero funzionale. Riportiamo un caso clinico di giovane sportiva con frattura complessa di polso con elevate esigenze di ripresa funzionale dell’arto leso.

L’articolazione del polso è una struttura complessa, formata da radio e ulna prossimalmente e dalla filiera del carpo distalmente. É frequente sentir parlare delle fratture del polso, della frattura di Colles, di Goyrand, delle fratture composte e scomposte, articolari e comminute, ma la domanda che spesso ci si pone  è se sarebbe guarita meglio con l’intervento chirurgico.

Questa articolazione, tanto importante per la nostra vita di relazione, è sottostimata nell’ambito della traumatologia. In occasione di gravi politraumi, con molti distretti anatomici interessati, si dia (giustamente) priorità alla riparazione in urgenza dei grandi segmenti, quali femore, tibia, omero, bacino e rachide, dando al polso traumatizzato solo una temporanea immobilizzazione, per poi trattarlo in seconda istanza. Se non adeguatamente trattata, la frattura che ha compromesso l’integrità del polso, non solo rappresenterà una limitazione all’articolazione stessa ma sarà causa di una ritardata ripresa funzionale di eventuali traumi agli arti inferiori poiché l’uso di stampelle e girelli sarà difficoltoso.

Citiamo la classificazione di Frykman (fig.1) delle fratture di polso, (La frattura di Colles – Medicalive Magazine – Maggio 2017), dove la frattura di Colles è la più comune della epifisi distale del radio con associato il distacco della stiloide ulnare. Seguono le fratture comminute, articolari, composte e scomposte. Più gravi, dal punto di vista del rischio di infezione secondaria, le fratture esposte, determinate da trauma estremamente violento.

L’incidenza di questa lesione, sempre molto elevata, colpisce ogni fascia di età, dai 18-20 anni in poi, ma con incidenza nettamente superiore nella popolazione anziana, perché più esposta al trauma a causa dell’instabilità deambulatoria e alla più elevata fragilità del tessuto osseo (la percentuale è maggiore nelle donne).

La decisione di intervenire chirurgicamente fa parte della preparazione e competenza professionale del chirurgo senza dimenticare che, secondo le odierne linee guida, l’orientamento è prevalentemente chirurgico per un più rapido ritorno all’attività lavorativa.

Giovane donna, grave politrauma in attività sportiva. Al danno generale si associa anche frattura gravemente scomposta del polso sinistro. (fig.2)

Intervento in urgenza per effettuare stabilizzazione di altri segmenti. Il polso viene valutato a fine seduta. Le condizioni generali permettono ulteriore tempo chirurgico e si decide di operare con chirurgia aperta per ricomporre la frattura comminuta. (fig.3)

L’intervento, eseguito con via di accesso chirurgica volare al polso, è un intervento di riduzione della frattura e osteosintesi con placca e viti a stabilità angolare. Questo tipo di operazione permette, se la stabilità dei frammenti è ottimale, di non proporre alcuna immobilizzazione nel post chirurgico, permettendo al paziente di iniziare la mobilizzazione attiva graduale dal giorno successivo l’intervento.

Alla dimissione il paziente viene inviato al terapista occupazionale che si occuperà della riabilitazione del segmento interessato.

Le immagini della figura 4 si evidenziano gli ottimi risultati raggiunti attraverso una chirurgia applicata da medici esperti e una attenta rieducazione post chirurgica.

la frattura del polso è una patologia invalidante che se non trattata nel modo adeguato, comporta un alto rischio di problematiche future. La chirurgia aperta con esatta riduzione e stabilizzazione attraverso mezzi di sintesi a basso profilo (in lega di titanio e nickel free) è oggi, l’opzione più valida per una “restitutio ad integrum” completa e veloce.

La frattura pertrocanterica è un tipo di frattura del femore che interessa prevalentemente grandi anziani, le donne più degli uomini, senza però “risparmiare” i pazienti più giovani (con tale frattura provocata spesso per trauma della strada o caduta in trauma su sport di contatto), con un range medio sui 75-80 anni di età.

Nelle fratture laterali del femore prossimale, l’intervento di osteosintesi con chiodo bloccato è considerato, soprattutto nel grande anziano, il gold standard poiché caratterizzato da tempi di attesa brevi, da ridotta perdita di sangue dato dalle piccole incisioni, dalla velocità di esecuzione e dall’immediata stabilizzazione della frattura e precoce riabilitazione.

Il chirurgo ortopedico risolve il problema frattura con uno dei migliori e pratici device presenti oggi sul mercato, ma non risolve il problema del post-chirurgico. Secondo alcune scuole, quella tedesca per esempio, già dal giorno successivo l’intervento il paziente dovrebbe mettersi in piedi e iniziare la deambulazione ma, come spesso capita, il paziente grande anziano non mostra la compliance necessaria per fare questo.

Per tal motivo in questa sessione si tratta l’importanza di un protocollo riabilitativo che sia portato a termine dal fisioterapista che, nel dopo intervento, rappresenta la figura determinante per una valida ripresa funzionale e una successiva buona guarigione che conduca il paziente verso una restitutio ad integrum e la ripresa di una buona qualità di vita con il successivo reinserimento sociale.

Le fratture extracapsulari del femore prossimale sono le fratture basicervicali, intertrocanteriche e pertrocanteriche; la definizione viene data a seconda della linea che attraversa la frattura stessa.

Le fratture extracapsulari, rispetto alla frattura del collo del femore, hanno una maggiore morbilità e mortalità ed è questo il motivo per cui la rapidità dell’approccio chirurgico è fondamentale per ridurre tali rischi.

Le cause di questo tipo di fratture sono molteplici: innanzitutto l’età avanzata che porta a un disequilibrio del soggetto, associata ad una maggior fragilità ossea che, negli anziani di sesso femminile è maggiore e inizia nel periodo post-menopausale.

Molte altre concause intervengono nella eziologia fratturativa, come la sedentarietà, le patologie associate o gravi comorbidità che impediscono all’anziano di potersi mantenere attivo, patologie ossee invalidanti (osteoporosi grave) e anche i secondarismi metastatici, fino ad arrivare alle rarissime fratture da stress.

L’approccio chirurgico di queste fratture viene programmato in base alle condizioni cliniche del paziente: meno comorbidità, più veloce l’esecuzione dell’intervento.

L’intervento chirurgico è definito “mini-invasivo” in quanto le incisioni cutanee sono minime e permettono di evitare gravi perdite ematiche. Per questo motivo lo stesso intervento, che potrebbe apparire di semplice esecuzione, necessita invece di una importante curva di apprendimento.

Come si evince nei vari passaggi (fig. 2), la frattura viene allineata sotto controllo amplioscopico e con piccole incisioni, si procede all’inserimento del filo guida e successiva osteosintesi per mezzo di un chiodo bloccato a forma di gamma Y. (fig.3)

Questa metodica permette un’ottima stabilità della frattura consentendo una precoce mobilizzazione e deambulazione del paziente, riducendo sensibilmente i rischi di stasi venosa e tromboembolismo che si evidenziano negli allettamenti prolungati.

Da quanto descritto si intuisce che lo strumento indispensabile per il rapido svezzamento dal ricovero e il recupero funzionale del fratturato, soprattutto se un grande anziano, è una precoce riabilitazione (Halbert et al 2007, Handoll e Sherrington, 2007, Toussant e Kohia, 2005).

Ma incerte rimangono alcune informazioni riguardanti la durata, la frequenza e i più indicati trattamenti fisioterapici (Handoll e Sherrington, 2007; Toussant e Kohl, 2005). Altri fattori possono influenzare negativamente il percorso riabilitativo, quali gli out-come, indipendente dal programma di recupero stabilito; il grado funzionale del paziente precedente al trauma; lo status cognitivo e di vita (spesso vivono soli); le comorbidità associate, il livello del dolore o uno scarso trofismo muscolare (Kagaya et al, 2005; Ogawa et al, 2008; Svensson et al, 1996; Williams et al,2006).

In base ad uno studio (Patrella ed al, 2000) si dimostra che, in riferimento all’equilibrio del paziente, il miglioramento sul piano funzionale non prosegue di pari passo con la diminuzione della paura di cadere, quindi questo timore diventa un rischio elevato per la perdita di fiducia che il  paziente ha nei confronti della guarigione. È fondamentale instaurare un valido rapporto fra il fisioterapista e il paziente. Un rapporto basato sulla fiducia reciproca e la costante rassicurazione da parte del fisioterapista possono portare verso l’obiettivo comune, la guarigione.

La maggior parte delle fratture pertrocanteriche del femore colpiscono prevalentemente la popolazione anziana. Nella fascia di età fino a 60 anni gli uomini sono i più colpiti, ma negli over 70, le donne sono le  più esposte al rischio. Le statistiche mostrano che oltre i 60 anni più del 75% delle donne soffre di fragilità ossea, contro una media del 50-55% degli uomini.

Nel 2018 la stima annua era di circa 175.000 fratture di femore, vertebre e polso su base traumatica (incidenti stradali, traumi sportivi, cadute accidentali e fratture su patologie correlate).

I rischi, nel post-operatorio non calano immediatamente, ma permangono ugualmente elevate (pari al 33%) fino ad almeno il 6° mese nel post-chirurgico. Ad un anno, il rischio varia dal 9% al 25% a seconda dei sottogruppi valutati, con la media di 12% (e aumenta del 33% nel caso di persone over 75). Un decesso precoce si ha in circa il 4-5% delle fratture di femore, mentre il 15-25% dopo un anno dall’accaduto.

Si stima che nell’anno successivo alla frattura si ha frequentemente l’instaurarsi di una disabilità motoria con la perdita definitiva delle capacità deambulatoria autonoma nel 20-30% dei casi.

La totale autonomia è conservata soltanto nel 30-40% dei casi (dati raccolti dal Ministero della Salute nel periodo 2000-2007 su soggetti con età superiore ai 45anni).

Quali radiologie sono necessarie nella diagnostica della fratture pertrocanteriche? La radiologia classica è sempre prioritaria perché dirimente sulla tipologia fratturativa. Altri esami possono essere eseguiti, ma come approfondimento sul dubbio diagnostico.

Radiografia (RX) del bacino per anca in proiezione antero-posteriore e assiale dell’articolazione interessata. Questo radiogramma è utile anche nello studio delle lesioni del cotile o negli episodi di lussazione della coxo-femorale.

Tomografia assiale computerizzata (TAC): utile per evidenziare rime di frattura non visibili agli Rx tradizionali, per fare una ricostruzione tridimensionale della porzione ossea interessata, per valutare se vi è la presenza di frammenti intra-articolari.

Risonanza MagneticaNucleare (RMN): utile nel post-riabilitazione per valutare la presenza di deficit della spongiosa, la necrosi avascolare della testa del femore, i danni articolari a carico del pannicolo cartilagineo, le lesioni muscolo-tendinee.

La tipologia dell’intervento chirurgico è sempre data dal tipo di frattura, dall’entità della lesione stessa, dall’età del paziente, dalla mobilità prima dell’evento, dalle condizioni cliniche, dallo stile e aspettative di vita.

La frattura per trocanterica permette un approccio chirurgico mini-invasivo (il chiodo Gamma) a bassa perdita ematica intra-operatoria che può essere eseguito in tempi brevi portando il paziente in una condizione clinica che permette la precoce ripresa funzionale.

Obiettivo di questa fase è preparare al meglio il paziente sia all’operazione che e al programma riabilitativo post-chirurgico.

Si valuta il precedente stato pre-morboso, le attività di base e strumentali del vivere quotidiano del paziente, eventuali livelli di dolore. Si valuta il paziente al letto, prestando attenzione a eventuale correzioni di assetto posturale degli arti (arto sano) rispetto al tronco.

Si aggiungono presidi quale il materasso antidecubito, l’archetto e il triangolo a protezione dell’arto interessato dalla frattura. Nell’ambito della risposta funzionale del paziente si cerca di insegnarli la corretta respirazione durante il decubito supino da tenere durante gli esercizi isotonici degli arti superiori e quelli isometrici ed isotonici dell’arto inferiore non fratturato.

Gli obbiettivi da raggiungere nel post-chirurgico rendono fondamentale la figura del fisioterapista.

-Prevenire i rischi dell’allettamento prolungato: come piaghe da decubito, trombosi venosa profonda (TVP)

-Il ripristino della mobilità articolare(ROM),

-Il miglioramento dell’equilibrio e la coordinazione del paziente,

-Insegnamento della corretta postura e il giusto posizionamento dell’arto operato

-L’aiuto nella gestione il dolore e dell’evoluzione della cicatrice,

-Ripristino del trofismo muscolare e della forza,

-Aiuto nel recuperodell’autonomia, nei passaggi posturali e per una rapida verticalizzazione,

-Un intervento chirurgico che permetta in pochi giorni il carico sull’arto operato

-Buon controllo del dolore, dei parametri cardio-respiratori e della pressione,

-Valutazione ortopedica e radiografica nell’immediato post-operatorio

con  prescrizione al carico (totale, parziale progressivo o senza carico) e il tipo di ausilio.

L’esame fisico del paziente comincia dalla valutazione delle capacità funzionali, che dipendono in prima linea dal carico concesso. Viene valutata la postura in stazione eretta, durante la deambulazione e la resistenza, attraverso il Six-Minute Walking Test, con cui viene chiesto al paziente di percorrere la massima distanza durante 6 minuti. Durante la camminata viene valutata la continuità del passo, la simmetria e la lunghezza, l’altezza (quando si alza il piede dal pavimento durante la fase di oscillazione), deviazione del passo, ampiezza della base, stabilità di tronco e sicurezza del passo. Prima e dopo il test dovrebbe essere misurata la frequenza cardiaca e la pressione del sangue.

Il test di equilibrio statico e dinamico aiuta a valutare il potenziale rischio di caduta. Il test Timed Up & Go misura i secondi che necessitano al paziente per alzarsi dalla sedia, aiutandosi con i braccioli, camminare per tre metri, girarsi, e ritornare alla posizione seduta, e altri test che misurano l’equilibrio.

Il Semi Tandem Standing Balance Test e il Tandem Standing Balance Test consistono nel chiedere al paziente di mantenere l’equilibrio durante 30 secondi, tenendo i piedi uno davanti all’altro con il tallone di un piede che tocca l’alluce dell’altro. Il test muscolare manuale valuta la forza muscolare. In caso di carico parziale si chiede al paziente di vincere con i suoi movimenti la forza di gravità. La mobilità articolare – ROM (Range of Motion) – svolta con movimenti attivi seguiti da sovra-pressione, movimenti passivi e il joint play, testerà la resistenza e il joint play solo quando il carico completo sarà concesso.

I muscoli che hanno perso maggior forza sono: gli abduttori, gli intra-rotatori dell’anca, i quadricipiti e gli estensori dell’anca. L’estensibilità muscolare viene valutata con il test Ober per la fascia lata e il tratto ileo-tibiale. Il test di Kendall, che viene svolto in posizione supina con la flessione dell’anca e di ginocchio al petto, valuterà i muscoli ileopsoas, il tensore di fascia lata, il quadricipite, il sartorio e il tratto ileo-tibiale.(fig.6)

In posizione da seduto, si valuta, invece l’estensibilità dei muscoli ischio-crurali: bicipite femorale, semitendinoso e semimembranoso. (fig.6)

Si prosegue con la valutazione della cicatrice e della zona operata per valutare eventuali segni di infiammazione.

Per completare la valutazione fisioterapica viene misurata la lunghezza degli arti inferiori. Se la lunghezza risulterà diversa non andranno applicati rialzi per compensare la differenza, almeno nel primo anno dall’operazione.

Nel post-operatorio il paziente va seguito secondo un percorso riabilitativo, mirato e personalizzato, il P.I.R.(Programma Riabilitativo Individuale):

-esercizi propriocettivi, esercizi di potenziamento muscolare, esercizi di mobilità articolare (attivi e passivi), esercizi di correzione della postura del paziente, esercizi respiratori e allungamento della catena muscolare posteriore.

La riabilitazione postoperatoria è l’anello fondamentale nel percorso della gestione post-chirurgica della frattura del femore e per questo motivo il fisioterapista deve iniziare la precoce mobilizzazione già in 2° giornata post-operatoria (salvo controindicazioni o situazioni ciniche che lo impediscano).

La terapia inizia al letto del paziente. La presa in carico inizia entro le 48 ore successive all’intervento per facilitare la rapida ripresa funzionale.

La prima fase riabilitativa postoperatoria dura tre settimane e comprendendo:

1) addestramento alla mobilità a letto

5) allenamento dalla posizione seduta e della stazione eretta per periodi progressivi

Dopo il risveglio dall’anestesia, sia essa subaracnoidea che generale, il fisioterapista misura il livello di dolore (quello a riposo), controlla la postura e la presenza dei presidi idonei (materasso antidecubito, archetto, triangolo) e si assicura della presenza delle calze elastiche con la compressione graduale e/o dei sistemi di compressione pneumatica intermittente, utili a prevenire le complicazioni tromboemboliche su entrambi gli arti inferiori. Per il controllo del dolore e dell’infiammazione vengono utilizzate applicazioni di ghiaccio sulla parte dolente (15 minuti e ogni 2-3 ore). Si impostano cambi posturali per la prevenzione delle piaghe da decubito. Già qualche ora dopo l’operazione, il paziente potrebbe raggiungere la posizione seduta al letto per ridurre il rischio di peggioramento del funzionamento dell’apparato circolatorio e muscolo-scheletrico.

La preparazione del paziente ha inizio con l’educazione riabilitativa-posturale: viene controllato il livello di dolore attraverso la scala analogico – visiva (VAS). La valutazione del dolore si riferisce a:

4) durante il carico sull’arto operato

Vengono insegnati i trasferimenti letto/carrozzina, la postura giusta del tronco e dell’arto operato.

In questo primo giorno il paziente rimane seduto con gli arti fuori dal letto per circa 20 minuti. L’obiettivo è evitare posture sbagliate, favorire l’aumento del ROM, aumentare la forza muscolare, ripristinare la propriocettività. Ogni esercizio viene spiegato e mostrato in modo tale che il paziente possa ripeterlo autonomamente o con l’aiuto dei famigliari.

Con un paziente partecipativo, si inizierà subito con l’attivazione della pompa drenante attraverso esercizi a letto. Vengono fatte eseguire flesso-estensioni, prono-supinazioni e circonduzione dei piedi. L’esercizio della flesso-estensione dei piedi va ripetuto ogni 30 minuti per circa 16 ripetizioni al minuto.(Fig.7A).

Successivamente il fisioterapista spiega e aiuta ad eseguire le contrazioni isometriche dei muscoli quadricipiti, glutei, adduttori e ischio-crurali (10 secondi di contrazione seguito da 10 secondi di riposo). Gli esercizi isometrici possono essere associati a una mobilizzazione attiva-assistita, rispettando i parametri del dolore.

Il training isometrico del muscolo quadricipite si effettua spingendo con il ginocchio contro il lettino e tenendo il piede a martello per almeno 7-8 secondi, o facendo compressione con la mano posizionata sotto il cavo popliteo e ripetendo l’esercizio con delle serie progressivamente maggiori (da 10 a 20 e da 20 a 30 ripetizioni).(Fig.7 B-C-D)

Per eseguire le contrazioni isometriche dei muscoli glutei, al paziente, in posizione supina, va chiesto di metterli in tensione per 10 secondi, per poi per altri 3 secondi fare la pausa. Invece il rinforzo dei muscoli adduttori si svolge nel seguente modo.(Fig.8A)

Il paziente comincia a muovere con cautela l’arto operato, prima attraverso la mobilizzazione passiva, poi attivo-assistita, flettendo il ginocchio (l’articolarità deve essere compresa tra 0 a 90°). Nella mobilizzazione in flessione dell’anca deve essere posta attenzione ai movimenti a rischio di lussazione, (eseguite lentamente e rispettando la comparsa di dolore). (Fig.8B), questo esercizio può essere proposto anche come esercizio propriocettivo in scarico. Segue esercizio di abduzione e adduzione dell’arto, inizialmente assistito e si prosegue con movimenti passivi e attivi assistiti di abduzione e adduzione dell’anca, facendo scivolare il tallone sul lettino. (Fig.8C).

Esercizi di mobilizzazione attiva in flessione ed estensione (fig.9A-)

Durante il periodo riabilitativo vengono eseguiti esercizi respiratori di tipo diaframmatico, toracico e di tipo misto, utili a migliorare l’ossigenazione di tutto corpo. (Fig.9C). In casi di pazienti affetti da BPCO si svolgono esercizi di respirazione costale alta, respirazione diaframmatica e viene insegnato il modo più idoneo di tossire.

Per prevenire la diminuzione dell’estensibilità di alcuni gruppi muscolari come quelli ischio-crurali e il tricipite femorale, si utilizzano tecniche di stretching passivo o attivo. Se non vi sono controindicazioni e il paziente risulta emodinamicamente stabile, si potrà dare inizio all’uso del deambulatore con la percentuale di carico consentito.

Nel caso di carico sfiorante, l’addestramento può essere facilitato attraverso l’utilizzo di un sensore.

Per il progressivo incremento del carico viene utilizzata una normale bilancia, oppure un disco propriocettivo, per abituare il paziente a modulare il trasferimento di carico nel ROM concesso. Allenamento, questo, che si fa alternando l’apertura e la chiusura degli occhi.(Fig.9D)

Come fine seduta, il paziente svolge l’esercizio di allungamento dei muscoli ischio – crurali e tricipiti.

Per la deambulazione sono sempre consigliate le scarpe chiuse con suola antiscivolo. Il primo training di deambulazione con ausilio e concessione al carico ha una percorrenza di circa 5 metri, sempre curando il corretto assetto e lo schema del passo. (Fig.10 A-B-C)

Al secondo giorno dall’intervento, dopo consulto con il chirurgo, il paziente inizia la deambulazione con gli ausili e carico sfiorante. Gli esercizi sopra descritti costituiscono un set della durata media di 15 minuti. (8- 10 ripetizioni per 4 volte al giorno rappresentano l’ideale).

La resistenza all’esercizio viene misurata attraverso il Six-Minute Walking Test. Nel percorso di 5 metri, invece, il fisioterapista deve correggere lo schema deambulatorio e la correttezza del passo, valutando l’equilibrio e il bilanciamento per ridurre il rischio caduta. Si prosegue con esercizi per la flesso-estensione delle ginocchia in posizione supina e seduto. Dalla posizione supina, con il piede a martello, si compiono abduzioni della gamba operata mantenendo l’altra in posizione flessa; si ripetono gli esercizi con elastico al piede mantenendo il ginocchio flesso a 90° eseguendo estensioni della gamba contro resistenza (fig.9°). Si prosegue con esercizi in posizione supina per articolazione dell’anca con la gamba in scarico e le abduzioni con piede a martello ed alluce in estensione (evitando le rotazioni della gamba). (fig.8B-C)

L’esercizio finisce con la postura eretta, scaricando il peso corporeo sull’arto controlaterale, cercando di migliorare sempre di più l’equilibrio.

Il terzo giorno il paziente viene posizionato in poltrona per almeno tre volte e proseguendo il suo percorso riabilitativo in palestra, dove continuerà il protocollo rieducativo che consiste in esercizi di rinforzo muscolare, riequilibrio nella fase statica e dinamica, esercizi di trasferimento di carico da una gamba all’altra, con doppio appoggio, singolo e senza appoggio (solo per fratture laterali), con passo della gamba operata in avanti, esercizi di spostamento sulle punte e sui talloni, esercizi di recupero dello schema di marcia ed equilibrio, come in seconda giornata, ed è in questa fase che il paziente viene aiutato solo se in reale difficoltà.

Quarto giorno: ripetizione del esercizi eseguiti nella giornata 2 e 3 e successivo insegnamento alla deambulazione in salita e in discesa.

In palestra si inizia la salita delle scale con il corrimano bilaterale e dosando la sequenza del passo, prima con l’arto non operato, poi con quello operato appoggiandolo sullo stesso gradino. Nell’esercizio della discesa prima l’arto operato e poi il controlaterale sullo stesso gradino. (Fig. 10 D-E-F)

Quinto giorno: inizio dell’insegnamento alla deambulazione con stampelle (canadesi o ascellari). Lo schema del passo è a due tempi e tre appoggi con apprendimento dell’andatura crociata. Nel tempo, il paziente, acquistando maggior sicurezza, inizierà la deambulazione con una sola stampella per poi abbandonarla nel tempo. L’uso delle calze antitromboemboliche non viene mai dismesso.

La dimissione dal reparto di traumatologia può avvenire verso il 5°-6° giorno dal post-operatorio.

Nel caso di valida autonomia e sicurezza, soprattutto nei passaggi posturali dal letto all’ortostasi e se il paziente è in grado di deambulare autonomamente e/o con 1 o 2 ausili per almeno 15 metri e usare autonomamente i servizi, si potrà prendere in considerazione l’uscita dall’ambiente domestico per affrontare le prime passeggiate.

Per un risultato completo e soddisfacente al paziente deve essere garantito un servizio di Fkt domiciliare per il mantenimento e continuità del programma di recupero funzionale impostato in ambiente ospedaliero con serie di esercizi che verranno ripetuti almeno due volte, per una durata totale di 2 serie di almeno 20 – 30 minuti. È stato dimostrato che il livello delle cure ed assistenza domiciliari sono pari, se non superiori, rispetto a interventi rieducativi in strutture residenziali, specialmente per i pazienti anziani fragili.

Rappresenta il 2° step di recupero funzionale, quella della mobilità articolare, della forza, del controllo motorio, della resistenza e autonomia nel cammino, del recupero dell’equilibrio.

Importante l’assenza di segni infiammatori alla cicatrice con condizioni cliniche stabili e livello di dolore sopportabile.

Il carico aumenterà progressivamente di 5/10 kg ogni settimana, fino a raggiungere il carico completo. Le stampelle vanno utilizzate finché il paziente non raggiunge la sopportazione completa del carico monopodalico. Utilizzerà un bastone, se necessario, finché non raggiungerà una deambulazione priva di zoppia e senza Trendelemburg. Tutti gli esercizi della prima fase verranno ripetuti e altri ne aggiungeranno, con aumento dell’intensità e più ripetizioni fino al raggiungimento dell’abbandono degli ausili o alla deambulazione con una solo stampella o bastone. Nella prima settimana di questa 2° fase gli esercizi andranno ripetuti 2- 3 volte al giorno e nelle settimane successive ogni serie sarà ripetuta in 3/5 serie per 3 volte la settimana. Per aumentare la forza e la resistenza andranno usati elastici e piccoli pesi, sfruttando la forza di gravita. In questa fase ci sarà l’inizio all’uso della cyclette (contro la resistenza minima o nulla).

Nel 2005, Shumway e Cook sottolinearono che chi ha subito una frattura del femore dopo una caduta rischia una ricaduta nel 53% dei casi. Si deve cercare sempre di migliorare la deambulazione con cambi di direzione e simmetria giusta del passo, facendo attenzione alla qualità e alla sicurezza del cammino, aumentando gradualmente la velocità e le distanze percorse.

Un training riabilitativo va sempre gestito con cura e iniziato attuando un accurato stretching di allungamento, soprattutto dei muscoli ischio-crurali, del quadricipite e del tricipite femorale. (fig.11 A-B-C)

Per il recupero del ROM concesso, si utilizzano: automobilizzazione in flessione, abduzione, adduzione, rotazione interna ed esterna.

Esercizio in catena muscolare chiusa come il ponte lasciando la distanza giusta tra le ginocchia. (Fig.12 A-B)

-Rinforzo dei l’adduttori in ortostatismo. (Fig.12 C-D)

-Esercizi attivi del rinforzo del anca – in ortostatismo – movimenti circonduzione in avanti e in dietro, all’interno ed all’esterno e interno. Bisogna fare particolare attenzione sulla postura corretta durante l’esecuzione degli esercizi. Molto importante risulta il potenziamento, specialmente in ortostatismo, dei muscoli glutei che aiutano ad aumentare l’equilibrio e la propriocezione. Rinforzo di medio gluteo viene eseguita in ortostatismo (Fig.12 D-E) e anche in posizione di decubito laterale (Fig.12 F), rinforzo di grande gluteo in ortostatismo e posizione prona (Fig.13 A-B-C).

-Mini squat bipodalici. (Fig.13 D-E).

-Esercizi attivi dell’articolazione del ginocchio e del anca – in posizione eretta – con le mani appoggiate sulla parete – esegue affondi anteriori, alternando le gambe – e piegando tutte e due le ginocchia – abbassando la sua posizione, poi senza appoggio. (Fig.14 A-B-C)

-Affondi laterali – in piedi con le mani appoggiate sul tavolo o una sedia- esegui flessioni laterali caricando e flettendo un ginocchio – con altra gamba, che rimane distesa. (Fig.14 D-E)

-Esercizi attivi per l’articolazione tibio – tarsica –con le mani appoggiate – esegui ritmiche salite sulle punte (mantieni la posizione per circa 3 secondi), poi passa dalle punte al tallone (mantieni per 3 secondi la posizione). (Fig.14 F)

-Esercizi di recupero dell’equilibrio e coordinazione in ortostatismo sia sulle varie pedane propriocettive (Fig.15 A-B-C-D) sia attraverso una deambulazione più complessa che comporta il superamento di vari ostacoli (raccogliere oggetti dal pavimento, mantenere la stazione eretta con occhi aperti echiusi).

-Utilizzo di cyclette con la sella alta. (Fig.15 E-F)

Dopo una buona cicatrizzazione della ferita (Fig.15 G) sono consigliate attività in piscina (ginnastica contro resistenza in acqua).

In questa fase la maggior parte dei pazienti raggiunge il carico completo ed elimina completamente l’uso delle stampelle. Se il paziente mostra difficoltà a caricare completamente l’arto operato il motivo potrebbe essere un ritardo di consolidazione della frattura. In questo caso il chirurgo potrebbe proporre la dinamizzazione del chiodo asportando la vite distale di blocco, aumentando l’effetto compressivo sulla rima di frattura.

In questa fase si prosegue con gli esercizi in catena cinematica chiusa fino a quando il paziente non avrà una articolarità completa del ginocchio e dell’anca. Gli esercizi da seguire sono gli accosciamenti, la salita e discesa delle scale senza ausilio.

La sospensione del trattamento fisioterapico avviene in associazione al recupero muscolare completo tramite misurazione circonferenziale della coscia.

La maggior parte dei pazienti in questa fase riprende a svolgere attività sportive, escludendo quelle di contatto per ulteriori 6-12 mesi.

Una scarsa o viziata consolidazione della frattura (pseudoartrosi), una rottura delle viti di bloccaggio, la mobilizzazione dei mezzi sintesi sono le problematiche che a volte si possono verificare, bloccando o annullando tutto il protocollo rieducativo.

Un nuovo intervento chirurgico di revisione del chiodo o una osteosintesi a cielo aperto possono risolvere il problema.

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Campagna di sensibilizzazione della Fondazione Italiana per il Cuore. Le anomalie delle valvole cardiache sfuggono facilmente alla diagnosi. Nasce una coalizione europea (SHD Coalition) per sostenere un intervento precoce.

Salvo Falcone – Giornalista, Media Consultant, Direttore Responsabile Medic@live Magazine.

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L'[/dropcap]urgenza di intervenire subito emerge anche dai risultati dell’indagine sui dati INPS che confermano una crescita allarmante in Italia delle Malattie Cardiache Strutturali, sostenuta anche dagli effetti post-pandemia, che ha colpito la fascia più fragile della popolazione costituita dagli over 65.

Per chi ancora non lo conosce, il nome di questa malattia (SHD – Structural Heart Diseases, in inglese) preoccupa meno di altre. Due le ragioni: intanto il riferimento alla “struttura” non riconduce a un immediato pericolo, poi perché, in effetti, se ne parla ancora poco rispetto alla portata della patologia legata al “cuore che invecchia”. Due attenuanti che non devono distrarre dalla gravità delle Malattie Cardiache Strutturali che colpiscono oltre il 12% della popolazione over 65 e che hanno incoraggiato lo sviluppo di una nuova coalizione europea (SHD Coalition) per evidenziare l’importanza di effettuare una diagnosi precoce e un trattamento appropriato.

“È prioritario intervenire urgentemente – precisano Emanuela FOLCO, Presidente della Fondazione Italiana per il Cuore-FIPC, e Paolo MAGNI, Coordinatore del Comitato Scientifico, membri dello Steering Committee della SHD Coalition – per tracciare un percorso concreto, con la consapevolezza dettata dai dati condivisi dell’impatto delle Malattie Cardiache Strutturali nella realtà italiana”.

Le Malattie Cardiache Strutturali sono patologie cronico-degenerative e fra esse vi sono le malattie valvolari, quali la stenosi aortica e il rigurgito mitralico e tricuspidale. Esse sono sempre più spesso riconducibili a un declino funzionale e all’invecchiamento della popolazione. Richiedono la riparazione e/o la sostituzione delle valvole cardiache a seguito di un deterioramento della struttura delle stesse – da qui l’origine del nome – e dell’usura progressiva del muscolo cardiaco. Sono necessari interventi riparatori o sostitutivi delle valvole che, se non trattate, sono causa di morte del 90% dei casi a 5 anni dalla loro diagnosi.

Le patologie valvolari possono facilmente sfuggire alla diagnosi e non aiuta il fatto che i sintomi siano piuttosto aspecifici tra cui il senso di affaticamento, l’affanno, la difficoltà a salire le scale, etc. Tanto difficile riconoscere i campanelli d’allarme (1/3 dei casi è asintomatico), quanto agevole raggiungere una diagnosi.

È sufficiente l’auscultazione del cuore da parte del medico per rilevare anomalie e procedere precocemente a controlli più semplici come un ecocardiogramma o più approfonditi esami specialistici capaci di condurre alla diagnosi.

Le ultime stime ISTAT per l’Italia confermano una percentuale di incidenza delle SHD del 12,5% sul totale della popolazione over 65, con una previsione di crescita considerando soprattutto la fascia anziana che raggiungerà la soglia del 25% nel 2030, fino a toccare il 33% nel 2040.

“Se l’aspettativa di vita è cresciuta di 10 anni negli ultimi 4 decenni, molto del merito è da attribuirsi ai passi in avanti compiuti dalla cardiologia. Questo ha però aperto il varco all’emergere di molte malattie legate alla senescenza, come le Malattie Cardiache Strutturali e, in primis, le patologie degenerative delle valvole cardiache – afferma Alessandro BOCCANELLI, Presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) – Nei Paesi occidentali, in particolare, il deciso incremento dell’aspettativa di vita non si è tradotto in un allungamento del tempo da trascorrere in buona salute: ciò a causa della sostanziale mancanza di prevenzione di tutte quelle malattie croniche che condizionano la qualità di vita degli anziani, come appunto le Malattie Cardiache Strutturali. Invece è fondamentale non solo continuare a guadagnare ulteriori anni di vita ma anche assicurare un miglioramento della qualità di vita, attraverso operazioni di screening che permettano di strutturare interventi mirati per fasce d’età (la cosiddetta “prevenzione di precisione”). Quel che occorre – osserva il professor Boccanelli – è un trattamento tempestivo della malattia che consenta ai pazienti di continuare a essere attivi nella società: in questa prospettiva, chiediamo alle Istituzioni di dare priorità alle SHD e assicurare fondi per la diagnosi precoce delle valvulopatie negli over 65″.

Il numero di interventi sulle valvole cardiache è cresciuto del 40% nell’ultimo decennio. Ogni anno sono circa 34.000 i pazienti che sono sottoposti a un intervento per una patologia cardiaca strutturale, con una spesa che supera gli 800 milioni di euro. La nota positiva per alcune di queste patologie è che nello stesso periodo i progressi della medicina e della tecnologia hanno consentito una riduzione del rischio e della mortalità associata a questi interventi di quasi il 50%. Tuttavia, per alcune di esse è ancora evidente il bisogno di un maggior focus sulla presa in carico e su nuovi percorsi di cura.

“Il nostro studio pone l’attenzione proprio sull’impatto socio-previdenziale. Nel quinquennio considerato dal 2015 al 2019,  è aumentato del 25% il numero di richieste di invalidità per diagnosi accertata di patologia valvolare – precisa Francesco Saverio MENNINI, Direttore del CEIS – Centre for Economic and International Studies, Facoltà di Economia, Università degli Studi Tor Vergata – e il 30% dei richiedenti ha un’età inferiore ai 65 anni (con evidenti ricadute economiche e sociali preoccupanti tanto per il SSN che per i costi legati alla perdita di produttività e fiscale). E’ cresciuto del 20% anche il numero di invalidi con indennità di accompagnamento per queste patologie: e, in questo caso, il 97% di questa spesa è destinata a soggetti con più di 65 anni (con un impatto importante con riferimento ai caregiver). E’ evidente che i pazienti over 65 vanno posti al centro di politiche sanitarie specifiche per le malattie cardiache strutturali”.

Una partita importante quella giocata dalla squadra “degli europei” che riunisce esperti, società scientifiche, scienziati, politici, pazienti con l’obiettivo di aumentare l’attenzione e la consapevolezza sulle Malattie Cardiache Strutturali per ridurre l’impatto della malattia e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Il suo nome è ‘SHD Coalition’ ed è stata lanciata a livello europeo ad aprile 2021.

Il calcio di inizio di questa partita risale al 2018, quando il Parlamentare Europeo Brando Benifei ha presentato il  HYPERLINK “http://www.brandobenifei.it/images/pdf/SHDManifestoIT.pdf”“Manifesto delle Malattie Cardiache Strutturali”. Si tratta di un importante impegno dell’europarlamentare italiano in qualità di membro del MEP Heart Group, che riunisce altri parlamentari “del cuore” coordinati dall’ European Heart Network, di cui la Fondazione Italiana per il Cuore-FIPC è membro italiano.

La Fondazione Italiana per il Cuore, FIPC, insieme ad altri esperti europei, è membro dello Steering Committee della EU STRUCTURAL HEART DISEASES COALITION (SHD), la Coalizione Europea sulle Malattie Cardiache Strutturali (SHD Coalition), presentata ufficialmente con un webinar tra esperti che si è tenuto il 6 Aprile 2021.

La Coalizione Europea sulle Malattie Cardiache Strutturali è una rete europea che riunisce esperti, società scientifiche, scienziati, politici, pazienti e l’industria, con l’obiettivo di aumentare l’attenzione e la consapevolezza sulle malattie cardiache strutturali, e di garantire che queste patologie abbiano una elevata priorità nelle politiche europee con l’obiettivo di ridurre l’impatto della malattia e migliorare la qualità della vita dei pazienti.

L’obiettivo principale della SHD Coalition – si legge nel sito web della FIPC – è quello di creare un’azione europea comune sulle malattie cardiache strutturali che evidenzi l’importanza di effettuare una diagnosi precoce e un trattamento appropriato. Questo richiederà una priorità politica a livello dell’Unione Europea (EU) e un forte sostegno nazionale da parte dei singoli Paesi.  Con una popolazione europea che sta invecchiando sempre di più, l’UE ha la responsabilità di sostenere l’azione sulle malattie cardiache strutturali-SHD e la Coalizione vuole sollecitare le istituzioni dell’UE e i responsabili politici nazionali ad impegnarsi su questo tema.

La Associazione Fondazione italiana per il cuore (FIPC) nasce nel 1990 per volere dell’illustre scienziato Rodolfo Paoletti, ed è stata fondata dalla Fondazione Giovanni Lorenzini – Medical Science Foundation sulla spinta dell’enorme successo della prima campagna educazionale per la riduzione del colesterolo, svoltasi negli anni ’80 e successivamente di quella sui trigliceridi come fattore di rischio (v. sotto); L’Associazione FIPC è un ente senza scopo di lucro giuridicamente riconosciuto (nr. 14.12.649, 2/4/2004), che opera su più fronti, con particolare attenzione per le malattie cardiovascolari e la loro prevenzione. È membro effettivo per l’Italia della World Heart Federation di Ginevra, ed è membro attivo dello European Heart Network con sede a Bruxelles. Interagendo con Società Scientifiche nazionali ed internazionali svolge attività di diffusione dell’aggiornamento scientifico relativo alle malattie cardiovascolari e facilita l’interazione tra il mondo medico-scientifico, le istituzioni, le autorità ed il pubblico. La Associazione FIPC insieme alla World Heart Federation e ad altri enti nazionali e sovranazionali partecipa alle attività del “NCD Alliance” (un network di oltre 2000 organizzazioni rappresentanti la società civile presenti in oltre 170 paesi) che ha recentemente permesso il raggiungimento di un traguardo unico ed irripetibile: infatti, durante l’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, dal 20 al 22 settembre 2011, è stata discussa l’importanza e l’urgenza sanitaria, politica ed economica di dare priorità all’emergenza cardiovascolare nell’ambito della comune lotta alle malattie croniche non comunicabili (NCD). Nella veste di membro della NCD Alliance il 22 settembre 2011 la Associazione FIPC ha portato il messaggio delle Nazioni Unite al Senato italiano organizzando un importante dibattito sul tema.

Nasce in Sicilia un nuovo percorso clinico e riabilitativo coordinato presso il Trauma Center di Villa Sofia a Palermo. Tra gli obiettivi, la creazione di un software del Registro Regionale Traumi e il software operativo della rete assistenziale mielolesioni traumatiche.

Salvo Falcone – Giornalista, Media Consultant, Direttore Responsabile Medic@live Magazine.

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L[/dropcap]e mielolesioni traumatiche rappresentano una fra le più importanti cause di mortalità e disabilità nel mondo con elevati costi sia per i pazienti che per la società anche perché colpiscono spesso persone in età giovanile (prevalentemente di sesso maschile).

Un progetto di supporto specifico denominato “Mielolesioni traumatiche e non – percorso clinico e riabilitativo” è stato ufficialmente presentato a Palermo nella sede dell’Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri.

Le lesioni midollari sono per la maggior parte di origine traumatica, causate da incidenti stradali, cadute accidentali, incidenti sportivi e sono i giovani i soggetti più colpiti: l’80% di queste persone ha un’età compresa tra i 20 ed i 40 anni. Il progetto sulle mielolesioni traumatiche è stato illustrato dal Dott. Antonio Iacono responsabile scientifico del progetto e del Trauma Center di Villa Sofia.

“Il progetto sulle mielolesioni traumatiche, realizzato con fondi del Piano sanitario nazionale – ha evidenziato il Dott. Iacono – vede come capofila l’Azienda Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello e Asp 6, ha lo scopo di attivare un percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale per la gestione del paziente affetto da lesioni del midollo. E’ un progetto articolato che prevede vari momenti, anche nelle scuole, per un tema che ha bisogno di maggiore attenzione poiché gravato da numerose problematiche. La Partita della Vita fa parte di questo progetto come momento di massima visibilità per focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, attraverso quello che sarà un momento di festa dove coinvolgeremo le famiglie e in particolare i bambini, perché è proprio dai più piccoli che deve partire una coscienza ed una sensibilità diversa”.

“Le azioni – ha aggiunto il Dott. Iacono – sono indirizzate a differenti target, per il raggiungimento di obiettivi specifici, e si articoleranno su due città sedi di Hub della Rete Regionale del Trauma, Palermo e Catania. Il progetto, che avrà durata biennale si declinerà in tre azioni: interventi formativi per il personale medico, infermieristico e fisioterapista delle USU (unità Spinali Unipolari); l’implementazione del software (Registro Trauma) per la Rete Regionale del Trauma; attività di sensibilizzazione”. “L’Azione “Interventi formativi” – ha sottolineato  il responsabile scientifico del progetto – vede il coinvolgimento del personale medico coinvolti a vario titolo nella Rete del Trauma attraverso un corso di formazione.

L’Azione “Software dedicato” ha i seguenti obiettivi: creare un software del Registro Regionale Traumi e il software operativo della rete assistenziale mielolesioni traumatiche. Grazie a tale strumento informatico sarà possibile avere non solo un database sempre aggiornato dei dati socio-sanitari regionali tracciando il percorso del paziente lungo tutto il suo percorso clinico, individuando le criticità cliniche ed epidemiologiche, fornendo preziose informazioni alle unità di riabilitazione e tracciando il percorso delle gravi lesioni cerebrovascolari e fornirebbe un valido strumento al CRT Siciliano per l’individuazione dei potenziali donatori.

L’Azione 3 “Sensibilizzazione” è rivolta agli studenti delle scuole secondarie di I e II grado e all’opinione pubblica, con l’obiettivo di informare sui rischi connessi a comportamenti pericolosi attraverso una campagna di prevenzione, informazione ed educazione sui traumi midollari”. “L’attività di informazione sui contenuti e obiettivi progettuali – ha detto il Dott. Iacono – sarà trasversale e di accompagnamento a tutte le attività del progetto e prevede le seguenti attività: Diffusione dello spot di sensibilizzazione della campagna, dal titolo “La tua vita è preziosa…proteggila”!!! realizzato nella precedente edizione del Progetto con la partecipazione del testimonial d’eccezione, Fabrizio Pizzuto nei panni di Catarella de “Il giovane Montalbano”; realizzazione di giornate di prevenzione e informazione nelle scuole in occasione della Giornata Nazionale delle Mielolesioni che si svolgerà nel mese di Aprile 2022 Palermo; realizzazione di giornate di prevenzione e informazione nelle piazze in occasione della Giornata Regionale delle Mielolesioni che si svolgerà nel mese di Maggio 2022; evento sportivo a Palermo (I anno) 2022 e a Catania (II anno) 2023 il cui incasso sarà devoluto alla FAIP Regione Sicilia”.

Toti Amato, presidente dell’Ordine dei medici di Palermo, membro del direttivo della Federazione nazionale Fnomceo, collegato via web, ha sottolineato che “il Trauma Center è già una realtà importante per la Sicilia sul piano terapeutico e riabilitativo. Se integrata con un piano spiccatamente formativo e attività di comunicazione, informazione ed educazione, può trasformarsi in un polo strategico su più livelli, non solo per la Sicilia. Personalizzazione delle cure, presa in carico consapevole dei familiari del politraumatizzato, trasferimento ai medici del territorio di quelle competenze al servizio della disabilità spesso difficili da comunicare, sono tutte risposte che mancano a questi pazienti e che si possono realizzare solo attraverso la costruzione di una rete e un approccio multidisciplinare”.

“Un progetto ambizioso – evidenzia Vincenzo Falabella Presidente nazionale FAIP, Federazione delle Associazioni Italiane Para-Tetraplegici – che pone al centro la Persona con lesione al midollo spinale. Sensibilizzazione, contaminazione e prevenzione sono tre aspetti fondamentali per arrivare nelle comunità di appartenenza e costruire una società più aperta e solidale dove le persone con lesione al midollo spinale vengano riconosciute al pari di ogni altro cittadino cosi come sancito dall’art. 3 della nostra Carta Costituzionale”. “Nel registro traumi – ha aggiunto il Dott. Iacono – sarà prevista un’applicazione che permetterà, con la collaborazione dei medici di famiglia, di effettuare il censimento regione sulle disabilità sia fisiche che mentali”.

Il deputato regionale Salvatore Lentini, Presidente del Gruppo Popolari ed Autonomisti – Idea Sicilia, evidenziando l’importanza e la validità del progetto, ha portato i saluti dell’assessore regionale della Famiglia, delle politiche sociali e del lavoro Antonio Scavone.

Maria Mantegna assessore alla Cittadinanza Solidale del Comune di Palermo ha definito il progetto “ambizioso, bello e interessante” facendo una riflessione sul possibile ruolo che l’amministrazione comunale potrebbe avere all’interno del progetto, mettendo a sistema tutte le attività del soggetto interessato, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e il percorso riabilitativo.

Alessandro D’Acquisto del Dipartimento per la Pianificazione Strategia – assessorato regionale della Salute, portando i saluti del dirigente generale Mario La Rocca,  ha focalizzato l’attenzione sullo sviluppo del 118 digitale con la geolocalizzazione del mezzo, la possibilità di interagire con il personale e la dematerializzazione del cartaceo. Beppe Virzì presidente della Federazione medici sportivi di Palermo ha ricordato il ruolo del CONI nella vaccinazione e prevenzione nell’ambito dello sport.

Antonio Palma professore ordinario in Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione del corso di laurea in Scienze motorie dell’Università degli Studi di Palermo, delegato al coordinamento delle politiche sportive di Ateneo, a curare i rapporti con il CUS e a presiedere il Comitato per lo Sport Universitario (CSU), ha dato la propria disponibilità a supportare il progetto su alcuni specifici ambiti.

Vincenzo Messina comandante della Polizia Municipale di Palermo ha sottolineato l’importanza del codice della strada per la prevenzione degli incidenti stradali e la sensibilizzazione dei cittadini nel rispetto delle regole.  Filippo Mannino Responsabile Innogea per lo Sviluppo IT in area Digital, nel corso del suo intervento, ha illustrato il registro traumi.

Nel corso dei lavori sono intervenuti telefonicamente: il presidente del gruppo parlamentare del Pd all’Ars Giuseppe Lupo che ha dato la propria disponibilità a sostenere lo sviluppo del progetto, sottolineando “l’importanza della sinergia tra le istituzioni”; il presidente della nazionale di calcio Dj Guido Gheri che con entusiasmo ha confermato la presenza della sua squadra a Palermo per sostenere il progetto; il presidente del CONI Sicilia Sergio D’Antoni che ha evidenziato “l’importanza dello sport anche al raggiungimento della felicità per tante persone”.

Alla conferenza stampa erano presenti, fra gli altri, Ignazio Beninati presidente Us Acli Palermo, Fabio Genco direttore Centrale Operativa 118 Pa/Tp, Giovanni Imburgia presidente dell’Associazione medici Palermo sportiva e componente U.S. Acli, Ninni Gambino consigliere nazionale FAIP e consigliere nazionale della Federazione Italiana Nuoto Paraolimpico e Isidoro Farina C.S.A.In. Palermo.

Partner istituzionali del progetto sono: l’assessorato regionale della Salute; l’assessorato regionale dell’Istruzione e della formazione professionale; l’assessorato regionale della Famiglia, delle politiche sociali e del lavoro; l’Ufficio Scolastico Regionale, il Comune di Palermo e il Comune di Catania, l’Ordine dei medici di Palermo, la FAIP, Federazione delle Associazioni Italiane Para-Tetraplegici, CittadinanzAttiva, l’Università degli Studi di Palermo; il CONI; l’Associazione Medico Sportiva Palermo; l’Azienda Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” e l’Asp 6 con la collaborazione delle società di promozione sportiva U.S. Acli e C.S.A.In. Palermo, la Palermo F.C. e la Catania Calcio.

La pandemia da Covid-19 ha messo in luce le fragilità ed inefficienze del SSE. Le politiche sanitarie hanno evidenziato come la Spesa Pubblica sia stata sempre considerata un costo piuttosto che un investimento. La risposta dell’EU a questa necessità è l’EU4Health. Tale programma costituisce il più grande piano per la salute in termini finanziari. La digitalizzazione e l’innovazione costituiscono lo strumento che permette ai Paesi Europei di essere più competitivi a livello globale e di porre le basi per un miglioramento complessivo della qualità del lavoro e della vita degli individui.

Dott.ssa Alessandra Savino – Junior Assistant Lum Business School & Consulting – Università LUM Casamassima (BA).

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L[/dropcap]a pandemia da Covid-19 ha messo in luce le fragilità ed inefficienze latenti della maggior parte dei Sistemi Sanitari Europei.

Le politiche sanitarie, poste in essere prima della pandemia, hanno evidenziato come la Spesa Pubblica sia stata sempre considerata un costo piuttosto che un investimento. Inoltre è stata concentrata in misura prevalentemente sugli interventi curativi trascurando, come emerso dalla crisi che stiamo vivendo,  la medicina preventiva. L’emergenza da COVID-19,dunque, evidenzia il primario bisogno di costruire sistemi sanitari resilienti, rivolti al paziente in termini di accessibilità, qualità delle cure ed efficienza.

La risposta dell’EU a questa necessità è l’EU4Health. Tale programma, prevedendo lo stanziamento di fondi pari a 9,4 miliardi di euro, costituisce il più grande piano per la salute in termini finanziari. Tre sono i principali obiettivi che persegue il fondo.

Il primo consta nel consolidamento della capacità dell’UE nell’affrontare minacce sanitarie costituendo riserve di forniture mediche, di personale sanitario ed esperti che possano essere mobilitati sull’intero territorio europeo, nonché favorendo un incremento delle attività di monitoraggio delle possibili minacce per la salute.

Sebbene il numero di medici e infermieri sia aumentato in quasi tutti i Paesi dell’UE, in molti di essi permangono importanti carenze. Quest’ultime sono emerse bruscamente durante la pandemia, comportando una forte pressione degli operatori sanitari presenti.

Difatti l’accesso effettivo ai diversi tipi di cure può essere limitato, oltre che dei lunghi tempi di attesa o dalla distanza per raggiungere la struttura sanitaria, della carenza di operatori sanitari.

Il secondo obiettivo è volto al miglioramento dei sistemi sanitari al fine di renderli preparati alla gestione di possibili future epidemie. Tale obiettivo è perseguito mediante: una maggiore e più accurata prevenzione delle malattie, l’incremento della promozione della salute fra la popolazione anziana, la digitalizzazione dei sistemi sanitari e una maggiore facilità di accesso all’assistenza sanitaria per i soggetti più vulnerabili. La digitalizzazione e l’innovazione costituiscono lo strumento che permette ai Paesi Europei di essere più competitivi a livello globale e di porre le basi per un miglioramento complessivo della qualità del lavoro e della vita degli individui. L’Italia è considerata un “innovatore moderato” posizionandosi al di sotto della media dell’Unione. Sarà necessario, quindi, un importante investimento nella ricerca e nello sviluppo di nuove tecnologie.                Il terzo e ultimo obiettivo mira a garantireprezzi più accessibili dei medicinali e dei dispositivi medici, promuovendo un uso prudente ed efficace degli antimicrobici ed incentivando un’innovazione medica e farmaceutica più sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Importante è la costruzione di un’Europa più “verde”.

Difatti, tra le 168 000 e le 346 000 morti premature nei Paesi dell’UE possono essere attribuite ogni anno all’inquinamento dell’aria causato da polveri sottili. Di conseguenza si presenta importante anche investire sulla transazione ecologica. Essa costituisce un’importante e fondamentale obiettivo del Fondo NextGenerationEU.

Quest’ultimo, così come previsto dal Green Deal, prevede la diminuzione dell’inquinamento mediante la riduzione dell’emissioni di gas serra e il miglioramento dell’efficienza energetica durante le attività produttive.

L’UE mira inoltre: ad intensificare gli interventi volti alla prevenzione e alla cura di malattie quali il cancro, le infezioni resistenti agli antimicrobici ad aumentare i tassi di vaccinazione; ad incrementare la ricerca per le malattie rare; a ricercare forme di cooperazione internazionale in caso di minacce globali quale ad esempio il covid-19.

Necessaria, al fine che le misure adottate possano avere l’esito positivo prospettato, è la responsabilizzazione delle persone, dei cittadini, delle famiglie. La salute pubblica è il prodotto delle scelte individuali e delle famiglie, che a loro volta, influenzano la salute della comunità.

La voce della società civile, nelle sue forme associative come le organizzazioni di pazienti, giovanili e quelle degli anziani, è un fondamentale strumento per migliorare i risultati sanitari nonché le prestazioni del sistema sanitario e per attirare l’attenzione in merito alla salubrità degli ambienti, gli stili di vita o i prodotti dannosi per la salute e sulle lacune relative alla qualità e alla fornitura di assistenza.

Vi sono ulteriori programmi che completeranno l’EU4Health: il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) per il sostegno ai gruppi vulnerabili nell’accesso all’assistenza sanitaria, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per il miglioramento delle infrastrutture sanitarie regionali, Orizzonte Europa per la ricerca in ambito sanitario, il meccanismo di protezione civile dell’UE/rescEU per creare scorte di forniture mediche di emergenza e l’Europa digitale e il meccanismo per collegare l’Europa per la creazione dell’infrastruttura digitale necessaria per gli strumenti sanitari digitali quali ad esempio la telemedicina.

Lo sviluppo di strumenti per la Telemedicina permette sia di ottenere risposte nuove per risolvere problemi tradizionali della medicina, sia di migliorare il servizio sanitario tramite una maggiore collaborazione tra i vari professionisti sanitari e i pazienti.

Essa permette: l’equità di accesso all’assistenza sanitaria, una migliore qualità dell’assistenza, la continuità delle cure, una migliore efficacia, efficienza, appropriatezza e il contenimento della spesa sanitaria, riducendo il costo sociale delle patologie.

– Michael D. Barnes, Carl L Hanson,Len B. Novilla, Brianna M. Magnusson, AliceAnn C. Crandall and Gracie Bradford, (2020),  “Family-CenteredHealth Promotion:Perspectives for Engaging Families andAchievingBetterHealthOutcomes“, The Journal of Health CareOrganization, Provision, and FinancingVolume 57: 1–6

-Commissione Europea (2020), “EU4Health 2021-2027 – una visione per un’Unione europea più sana”https://ec.europa.eu/health/funding/eu4health_it

-Luciano Fassari (2020), “La telemedicina entra a pieno titolo nel Ssn. Ecco le linee guida del Ministero con le regole per visite, consulti, referti e teleassistenza”, Quotidianosanità.it, http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=90913

– MEF (2020), “Next Generation Italia, il Piano per disegnare il futuro del Paese”,www.mef.gov.it,  https://www.mef.gov.it/focus/Next-Generation-Italia-il-Piano-per-disegnare-il-futuro-del-Paese/

L’articolo, vuole delineare e ridefinire le competenze attuali dell’Igienista Dentale, sottolineando le criticità connesse al profilo stesso. L’Igienista Dentale svolge competenze relativa alla prevenzione delle affezioni orodentali su indicazione degli odontoiatri e dei medici chirurghi legittimati all’esercizio della odontoiatria.

L’igienista dentale dovrebbe divulgare, mediante i dispositivi in suo possesso, le informazioni utili alla popolazione per promuovere la salute orale. Tutto ciò può iniziare dalla scuola elementare attraverso incontri con i piccoli pazienti, per poi espandersi a tutta la popolazione italiana attraverso ogni mezzo di comunicazione disponibile nel XXI secolo come giornali, televisione, interviste e programmi radiofonici.

Di fatto non tutti i pazienti italiani ne sono al corrente, e chi invece ne riconosce l’influenza difficilmente si sottopone alle normali pratiche di igiene orale; di conseguenza, la maggior parte della popolazione non si sottopone ai trattamenti di prevenzione per le patologie del cavo orale ma, al contrario, si presentano in uno studio dentistico quando la situazione richiede interventi più invasivi.

The dental hygienist should disclose, through the devices in his possession, information useful to the population to promote oral health. All this can start from elementary school through meetings with young patients, and then expand to the entire Italian population through every means of communication available in the 21st century such as newspapers, television, interviews and radio programs.

In fact, not all Italian patients are aware of it, and those who recognize its influence are unlikely to undergo normal oral hygiene practices; consequently, the majority of the population do not undergo preventive treatments for oral diseases but, on the contrary, come to a dental office when the situation requires more invasive interventions.

Dott. Abramo Mammarella –  Dottore in Infermieristica, Chieti

Francesco Verna – studente corso di Laurea in Infermieristica, Chieti 

[dropcap color=”#008185″ font=”0″]L'[/dropcap]igienista Dentale è l’operatore sanitario che, in possesso del titolo di studio abilitante alla professione (Corso di Laurea in Igiene Dentale), svolge un ruolo fondamentale nella prevenzione delle patologie oro-dentali e nel promuovere la salute orale dei pazienti al fine di migliorare anche la salute sistemica, nonché l’estetica e l’autostima.

Tuttavia, i pazienti che si recano in una struttura odontoiatrica pubblica sono poco consapevoli della funzione dell’igienista dentale; inoltre molti pazienti, pur conoscendo il ruolo dell’igiene dentale nella prevenzione delle malattie orali non si sottopongono regolarmente a controlli odontoiatrici. È bene dunque che gli igienisti dentali aumentino le loro attività di propaganda al fine di informare meglio le persone circa il ruolo dell’igienista sulla prevenzione delle malattie del cavo orale.

Questo può iniziare dall’età della scuola primaria, con lezioni e attività educative e successivamente attraverso giornali, riviste, annunci di servizio pubblico, interviste a igienisti dentali durante programmi televisivi e radiofonici nel campo della prevenzione della salute orale. È inoltre possibile creare centri per la promozione della salute orale in cui, sia i pazienti che i professionisti della salute orale, possono essere istruiti sui collegamenti tra le malattie orali e sistemiche, nonché il ruolo esatto che ogni professionista svolge nella promozione della salute orale e sistemica.1

Agli igienisti è richiesto un livello molto elevato di competenza che vede alla base non solo lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, ma anche etiche e tecniche.2

La prevenzione primaria è volta a prevenire l’insorgenza di patologie che colpiscono il cavo orale, ciò è reso possibile mediante l’informazione e l’istruzione del paziente.

Esistono diversi metodi per un corretto approccio in base anche al grado di collaborazione del paziente stesso:

Diversi possono essere i presidi utilizzati per rafforzare l’istruzione, la motivazione del paziente e per migliorarne l’igiene domiciliare come:

La tecnica motivazionale è efficace per andare a ridurre l’indice di placca e sanguinamento del paziente, al fine di garantire la salute del cavo orale attraverso un miglioramento delle manovre d’igiene orale domiciliare.

Nonostante lo spazzolino sia il presidio principale per una corretta igiene orale non è sufficiente per garantire un’eliminazione completa della placca batterica; a tal proposito è bene introdurre, nella propria routine domiciliare altri dispositivi atti a rimuovere residui di placca negli spazi interdentali:

La prevenzione secondaria verte nell’intercettare il danno precocemente, tanto da renderlo reversibile, in seguito a gengivite e parodontite. Il fattore eziologico primario delle patologie in esame, oltre a fattori predisponenti che variabili, è la placca batterica.

Gengivite: patologia che colpisce i tessuti molli che circondano l’elemento dentale. Si presenta come uno stato d’infiammazione in seguito all’accumulo di placca batterica all’interno del solco gengivale. È una patologia che non causa un danno irreversibile, ma è possibile andare incontro al processo di “restitutio ad integrum’’, nel momento in cui si arresta il decorso della malattia. Diversi sono i fattori eziologici scatenanti come fumo, farmaci e alterazioni ormonali.  Per quanto concerne il trattamento della gengivite, appare fondamentale il ruolo dell’igienista il quale deve assicurare un’igiene professionale impeccabile, associata a un buon controllo di placca batterica domiciliare.  Per garantire questo risultato è indispensabile motivare correttamente il paziente, insegnando le tecniche di spazzolamento più adatte al singolo e l’uso di dispositivi d’igiene interdentale. L’obiettivo finale è la guarigione con recupero dei tessuti parodontali.

Parodontite: la parodontite è una malattia cronica infiammatoria che colpisce i tessuti parodontali del dente (gengiva, legamento parodontale, cemento radicolare e osso alveolare). Questa è recidivante, il che significa che si può ripresentare; difatti seguiranno fasi di attivazione e fasi invece d’inattivazione della malattia.

Il compito dell’igienista dentale è quello di tenere sotto controllo l’evoluzione della patologia seguendo i protocolli sul piano di trattamento della patologia.

I fattori di rischio, che conducono allo sviluppo della malattia parodontale, sono:

Il paziente con parodontite deve sottoporsi a visite periodiche, in modo tale che l’igienista dentale possa monitorare il decorso della malattia e mettere in atto un piano di trattamento mirato. Lo scopo è quello di limitare il danno provocato dalla malattia, senza garantire però una “restitutio ad integrum”; ciò determina una perdita dei tessuti di supporto che non possono essere reintegrati.

La prevenzione terziaria si basa sul trattamento degli effetti a seguito della avanzata distruzione dei tessuti parodontali, quando possono crearsi delle situazioni in cui l’igienista dentale non riesce a raggiungere efficacemente la parte più profonda delle lesioni parodontali con la sola terapia non chirurgica della malattia parodontale. A tal proposito, il trattamento prevede un approccio parodontale chirurgico ad opera dell’odontoiatra; terapia che viene eseguita in anestesia locale. Un accesso chirurgico sarà indicato anche nei casi in cui sarà necessario un’applicazione di bio-materiali per ricostruire o rigenerare il tessuto osseo e l’apparato di attacco del dente.5

Il criterio con il quale si affronta la prevenzione infantile della patologia cariosa comprende sia la prevenzione primaria, per evitare l’insorgenza della malattia stessa, sia quella secondaria per evitarne lo sviluppo a formare una cavità cariosa.

I trattamenti adoperati per prevenire o arrestare la patologia cariosa sono:

 I sigillanti fanno parte della prevenzione primaria, in quanto formano una barriera fisica che non permette ai batteri e ai residui alimentari di accumularsi nei solchi o nelle fossette degli elementi dentari. Tuttavia, sono efficaci anche per arrestare l’evoluzione della carie e quindi vengono inseriti anche nella prevenzione secondaria. Se il materiale viene posizionato correttamente su una lesione cariosa non cavitata, il sigillo impedisce la progressione della carie e la inattiva, riuscendo a privare i batteri delle sostanze nutritive necessarie per i loro stesso sviluppo.

La sigillatura sta riscontrando una notevole applicazione non solo in campo preventivo ma anche come terapia micro o mininvasiva delle lesioni cariose iniziali.

La fluoroprofilassi è riconosciuta scientificamente come il metodo più efficace nell’ambito della prevenzione e del controllo del processo carioso. È stato anche affermato che la presenza del fluoro assume dei benefici indiretti su terapie e prevenzione della salute parodontale, grazie alla sua capacità di agire sui microrganismi della placca batterica.

L’assunzione di fluoro, secondo quanto emanato dall’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) è efficace a tutte le età, sia a livello individuale che comunitario senza apportare alcun rischio per l’individuo stesso. La fluoroprofilassi è considerata il primo meccanismo di prevenzione del processo carioso.

Alla base di un efficace programma di prevenzione contro il processo carioso ritroviamo anche la fluorizzazione topica domiciliare o autoprofilassi; infatti, attraverso l’utilizzo di collutorio e dentifrici a base di fluoro, è possibile ottenere ottimi risultati preventivi sia in casi individuali sia nell’intera popolazione con alta cariogenicità. Tale applicazione non va effettuata in bambini minori di 6 anni o in soggetti portatori di handicap gravi.

Importante in questo caso sarà il ruolo dell’igienista che verte nel consigliare il giusto dentifricio e il collutorio al paziente, in base alle esigenze personali.

Quando si parla di approccio al piccolo paziente, si parla di strategie di comunicazione.

Il trattamento odontoiatrico, sia dell’adulto sia del bambino, è spesso associato a manifestazioni di paura, ansia e fobia. C’è un’età in cui il paziente inizia ad avere paura della figura dell’igienista e del dentista, di solito nel 50% dei casi si manifesta durante l’infanzia; il 20% invece sviluppa la paura durante l’adolescenza e circa il 27% durante l’età adulta.

L’approccio psicologico al piccolo paziente può essere influenzato da vari fattori:

A tal proposito sono stati studiati quali sono i meccanismi che conducono il bambino a percepire l’ansia:

Altro evento negativo, che fa parte di questo meccanismo, avviene quando il bambino arriva in studio che presenta già una sintomatologia dolorosa evidente, associando l’ambiente odontoiatrico a questa sensazione spiacevole.6

Nonostante tutto, vi è una riduzione nel tempo di queste manifestazioni ansiose dovute alla frequenza delle visite odontoiatriche asintomatiche. Si deduce che se un bambino frequenta lo studio dentistico in modo asintomatico con visite e controlli, o comunque non esponendo nessun tipo di problema, diminuirà il suo stato di ansia mentale.

Poiché la prima infanzia è una fase critica per la formazione di abitudini salutari e i bambini sono spesso ricettivi in questa fase7 , questo periodo offre un’opportunità unica per gli interventi comportamentali consentendo, al contempo, delle alternative. Coltivare abitudini sane tra i bambini in età prescolare, i cui denti permanenti eromperanno in seguito, massimizzerebbe le possibilità di una dentatura permanente priva di carie per tutta la vita.

Lo sviluppo di stili di vita sani dal punto di vista dentale è identificato dall’OMS come una priorità e un orientamento strategico per la promozione della salute orale.8

Una corretta tecnica di spazzolamento esige una notevole destrezza manuale e comprende la detersione delle superfici con direzioni, movimenti e angoli specifici tra lo spazzolino, i margini del tessuto gengivale e i denti. Tra i bambini piccoli è stato spesso suggerito e impiegato un metodo di “lavaggio orizzontale” facile e adeguatamente efficace.

Le abilità manuali di spazzolamento dei denti, e il miglioramento di queste a livello personale, sono tradizionalmente valutate attraverso il successo della rimozione della placca misurata dai punteggi e dagli indici della stessa. 9

È stato sviluppato un indice per la valutazione delle “capacità di spazzolamento” definite operativamente come posizione dello spazzolino in bocca al fine di raggiungere tutte le superfici dentali; l’indice di Simon “Brushing Skills’’. 10

Un elemento essenziale in un progetto dentale preventivo, sia per l’individuo sia per il gruppo, è un programma di controllo della placca ben organizzato.

Si tratta di un tema rilevante, già affrontato in passato11, nel quale si andava a registrare le condizioni gengivali di ciascun soggetto mediante il sistema Indice Gengivale (GI)12 e le valutazioni della placca effettuate da un sistema di indice PHP (Patient Hygiene Performance).13

I soggetti avevano 12 e 13 anni di età, assegnati in modo casuale, suddivisi in due gruppi: test e controlli. Entrambi sono stati sottoposti ad un pre e post-esame; i partecipanti del gruppo test  hanno ricevuto due spazzolini, uno da utilizzare durante il periodo di supervisione e uno invece da utilizzare a casa., inoltre gli era stato fornito anche il filo interdentale. Mentre i partecipanti del gruppo controllo hanno utilizzato un solo spazzolino.

Dopo aver eseguito i movimenti di spazzolamento dei denti sotto la supervisione degli igienisti, l’individuo ha esaminato la propria bocca per rilevare la presenza di placca utilizzando un tablet rivelatore e gli ausili combinati dello specchio della bocca e dello specchio manuale. Gli igienisti dentali hanno valutato il numero di denti con placca rimanente e lo studente ha seguito lo spazzolamento di quelle aree.

In tutto, gli igienisti hanno dato un’idea chiara di ciò che era stato compiuto correggendo eventuali movimenti giudicati inadeguati o errati. Durante una settimana, un igienista è stato incaricato di supervisionare il metodo “Scrub” mentre l’altro ha supervisionato il metodo “Bass”; le loro posizioni sono state invertite nelle settimane seguenti.

È emerso che lo stato di igiene orale, dei bambini in entrambi i gruppi di studio e di confronto, è migliorato in modo significativo nel corso del mese di durata dello studio.11

A questo punto è possibile realizzare un progetto che, basandosi sulla letteratura, permetta di diffondere il concetto di prevenzione in pazienti con età compresa tra 6 e 10 anni, con il fine di diminuire la prevalenza della patologia cariosa e sfruttando i trattamenti preventivi adatti al singolo.

Per fare ciò è necessario mettersi in contatto con alcune scuole primarie dell’ordinamento scolastico italiano. In modo del tutto casuale verranno scelte delle classi e, garantendo la totale privacy, si somministrerà loro un questionario con domande specifiche per valutarne il grado di conoscenza seguito da una dimostrazione teorica e pratica delle corrette manovre di igiene orale.

Step più importante comprenderà la valutazione della quantità e qualità di placca batterica presente in ogni singolo piccolo paziente, resa possibile mediante l’utilizzo delle pasticche rivelatrici di placca, che ci permetteranno di evidenziare la presenza della placca batterica senza introdurre strumenti invasivi all’interno del cavo orale. In questo modo si avrà un’analisi oggettiva della situazione, consentendoci di motivare ogni singolo paziente.

Il progetto sarà suddiviso in due incontri differenti:

Verrà insegnato loro come utilizzare nel modo più appropriato possibile lo spazzolino, scegliendo la tecnica di spazzolamento più adatta al singolo in base all’età anagrafica, al livello cognitivo e al grado di collaborazione.

Tra i bambini piccoli è stato spesso suggerito e impiegato un metodo di “lavaggio orizzontale” facile e adeguatamente efficace. Le abilità manuali di spazzolamento dei denti, e il miglioramento di queste a livello personale, sono tradizionalmente valutate attraverso il successo della rimozione della placca misurata dai punteggi e dagli indici della placca.9

In base alla manualità del paziente, il metodo Bass modificato e il metodo Scrub modificato sembravano essere i metodi più comunemente raccomandati, ma non vi sono prove a sostegno della scelta di una tecnica rispetto all’altra.14

La durata di spazzolamento è di circa 3 minuti, fattore che dipenderà sempre dal grado di collaborazione. Affinché il piccolo paziente abbia la percezione visiva del tempo, è stato introdotto un oggetto in grado di misuralo: la clessidra.

Di seguito riportiamo il questionario da somministrare sia nel primo incontro; con lo scopo di verificare la conoscenza del piccolo paziente, sia nel secondo incontro; per valutare il grado apprendimento del singolo, in seguito alle informazioni date dall’igienista dentale.

Alla base di tale scelta, vi è il fine di divulgare le giuste conoscenze in una popolazione scolastica elementare, per mettere in atto la prevenzione delle patologie che colpiscono il cavo orale, allo scopo di diminuirne l’incidenza.

Con l’obiettivo di divulgare le notizie circa la prevenzione di patologie che colpiscono il cavo orale e di abbassare la prevalenza e l’incidenza di queste all’interno della popolazione, si è dimostrato che il punto di partenza è la prevenzione infantile; analizzando i dati a disposizione è emerso che è possibile migliorare le scorrette abitudini comportamentali del piccolo paziente mediante l’istruzione, l’informazione e l’esecuzione delle corrette manovre d’igiene orale.

Scadenza 11 febbraio 2021. Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di 120 posti di CPS infermiere, categoria D, a tempo indeterminato, con riserva del 30% dei posti ai volontari delle Forze Armate, presso l’Asl Napoli 3 Sud.

Bando: https://www.concorsando.it/blog/wp-content/uploads/Concorso-Infermieri-ASL-Napoli-3-Sud.pdf

Scadenza 11 febbraio 2021. Concorso pubblico unico, per titoli ed esami, per la copertura di 60 posti di Collaboratore Professionale Sanitario infermiere, categoria D, a tempo indeterminato, gestito in forma aggregata con talune Aziende sanitarie locali dell’Emilia Romagna con l’Ausl di Piacenza ente capofila. I posti saranno così distribuiti:

Bando: http://www.ausl.pc.it/news/506/concorso-per-60-posti-di-infermiere-domande-entro-l-11-febbraio.html

Scadenza 11 febbraio 2021. Concorso pubblico unico, per titoli ed esami, per la copertura di 60 posti di Collaboratore Professionale Sanitario infermiere, categoria D, a tempo indeterminato, gestito in forma aggregata con talune Aziende sanitarie locali dell’Emilia Romagna con l’Ausl di Piacenza ente capofila. I posti saranno così distribuiti:

Bando: http://www.ausl.pc.it/news/506/concorso-per-60-posti-di-infermiere-domande-entro-l-11-febbraio.html

Scadenza 15 febbraio 2021. Procedura di stabilizzazione per la copertura di trentanove posti del comparto di vari profili professionali, a tempo pieno ed indeterminato.

Bando: https://www.aslroma1.it/concorsi-e-avvisi#

Scadenza 18 febbraio 2021 La domanda di partecipazione la domanda di partecipazione all’avviso che dovrà essere, pena esclusione, prodotta esclusivamente tramite procedura telematica

Bando: https://aosanpio.it/wp-content/uploads/2020/12/Bando-AVVISO.pdf

All’interno del contesto bio-psico-sociale, viene presentata l’ipotesi che prevede l’esistenza di una corrispondenza tra gli specifici Profili Temporali identificati dalla psicologia scientifica e alcuni particolari pattern neuro-endocrino-immunologici della Variabilità Cardiaca.

L’ipotesi proposta da questo articolo consiste nell’intersezione di due settori apparentemente distanti: la Prospettiva Temporale, un settore della psicologia scientifica che studia come ciascuno di noi si relaziona al tempo, e la Variabilità Cardiaca, un recente concetto delle scienze biomediche che analizza l’interazione tra funzioni psicologiche, neurali endocrine ed immunologiche.

L’ipotesi prevede che a specifiche configurazioni relative la Prospettiva Temporale (chiamate Profili Temporali) corrispondano specifici schemi relativi la Variabilità Cardiaca.

Molti studi presenti in letteratura sono convergenti con quest’ipotesi anche se occorre verificare empiricamente l’ipotesi proposta.

The hypothesis proposed by this article consists of the intersection oftwo apparently distant sectors: Time Perspective, a sector of scientificpsychology which studies how each of us relates to time, and the Heart Rate Variability, a recent concept of biomedical sciences which analyzes particular interaction between psychological, neural, endocrine and immunological functions.

The hypothesis proposes that specific Time Perspective configurations (called Time Profiles) correspond to specific Heart Rate Variability patterns.

Many studies in the literature converge with this hypothesis, although, it is necessary to verify empirically the hypothesis proposed.

he hand is a highly complex structure and it allows humans to perform the most important functions of grasp and touch.

The perfection of its motility, in the joints of the four fingers with the thumb, gives rise to the movement of the opposition grip, that is, to one of the most complete movements of the human body, thus becoming the perfect organ of execution of the movements.

By altering this balance, especially the adaptability of the shape of the hand to things, a modification of the perception of things is determined and, therefore, an alteration of the total synchronous one, brain-upper limb functionality is created.

For this reason, hand fractures (phalanges and metacarpals) that are not treated adequately lead to a severe prensional and tactile imbalance, leading to a serious impairment of the individual’s normal social life. In this session we will dedicate ourselves to some reports on phalangeal fractures.

Dott. Massimo Agnoletti – Psicologo, Dottore di ricerca Esperto di Stress, Psicologia Positiva e Epigenetica, Formatore/consulente aziendale, Presidente PLP-Psicologi Liberi Professionisti-Veneto, Direttore del Centro di Benessere Psicologico, Favaro Veneto (VE).

Dott. Philip G. Zimbardo – Professore emerito all’Università di Stanford. Fondatore del settore della psicologia scientifica chiamato Prospettiva Temporale.

Attualmente il modello bio-psico-sociale prevede che vi sia una massiccia integrazione tra gli aspetti biologici, mentali e socioculturali che riflettono la grande complessità ed eterogeneità dei comportamenti espressi dalla specie umana.

Lo scopo di questo scritto è di esplorare la possibilità che solide correlazioni ormai indentificate relative l’aspetto psicologico, in particolare la specifica Prospettiva Temporale che ciascuno di noi possiede, abbia delle peculiari influenze neurali, endocrine ed immunitarie che possono essere colte dalla recente area biomedica della Variabilità Cardiaca.

Vediamo ora nei dettagli casa intendiamo con questa ipotesi che coinvolge trasversalmente alcuni concetti della psicologia e della fisiologia.

L’approccio psicologico chiamato Prospettiva Temporale studia la relazione psicologica che ciascuno di noi ha nei confronti delle dimensioni temporali vissute nel presente, relativamente gli eventi passati, e delle aspettative che abbiamo del nostro futuro (Stolarski et al. 2014; Zimbardo&Boyd, 2008).

Ognuno pensa sia alle esperienze del passato che del presente che del futuro ma ha una particolare configurazione relativa a “quanto” frequentemente e “come” pensa ed investe psicologicamente energie in relazione a queste specifiche dimensioni temporali.

Il prof. Zimbardo, dopo decenni di ricerche scientifiche condotte con un gruppo di lavoro internazionale, ha elaborato uno specifico questionario, lo ZTPI (Zimbardo Time Perspective Inventory), che misura il peculiare rapporto che ciascuno ha nei confronti del tempo (chiamato anche Profilo Temporale).

Ogni Profilo Temporale viene definito dalla particolare configurazione delle sei dimensioni temporali che si sono dimostrate significative per riconoscere lo specifico stile cognitivo-emotivo e motivazionale legato al tempo che possediamo.

Due dimensioni temporali sono relative alle nostre esperienze passate negative e positive (chiamate rispettivamente il “passato negativo e il “passato positivo”), due riguardano il nostro presente (il “presente fatalistico” legato a quanto ci sentiamo protagonisti degli eventi significativi che sperimentiamo, e il “presente edonistico” che misura invece la frequenza di esperienze piacevoli che conduciamo) e per ultima vi è la dimensione del “futuro” (l’insieme di aspettative sui progetti ed obiettivi che perseguiamo).

Risulta utile ricordare che, ad esempio, il Profilo Temporale caratterizzato da un valore di Futuro significativamente alto, è correlato a maggiori problematiche legate all’ansia ed ai rimuginii (pensieri ricorrenti emotivamente negativi rivolti il proprio futuro) rispetto la media della popolazione così come il Profilo Temporale caratterizzato da un valore significativamente alto di Passato Negativo è positivamente correlato a più frequenti stati depressivi ed a ruminazioni (pensieri ricorrenti emotivamente negativi rivolti ad eventi del proprio passato).

Ciascun Profilo Temporale condiziona in modo specifico il modo di effettuare le scelte, i comportamenti, e lo stile di vita che adottiamo determinando la nostra qualità di vita ed il nostro modo caratteristico di gestire lo stress.

Le recenti scoperte della PNEI (psico, neuro, endocrino immunologia) hanno ormai chiarito la natura altamente integrata ed interconnessa del nostro organismo dove gli aspetti più biologici influenzano quelli mentali tanto quanto quelli psicologici modificano la natura di quelli più squisitamente biologici (Agnoletti, 2017, Bottaccioli&Bottacioli, 2017; Conklin et al., 2015; Epel et al., 2004), in questo senso la Prospettiva Temporale, con le numerose implicazioni psicofisiologiche già ampiamente evidenziate dalla letteratura (Agnoletti, 2016a; Agnoletti 2016b; Stolarski et. al. 2014), non fa eccezione.

In questo contesto altamente interconnesso, risulta interessante notare che le scienze biomediche hanno recentemente sviluppato il concetto di variabilità cardiaca (in inglese HRV, Heart Rate Variability) consistente nell’analisi della variabilità esistente tra un battito cardiaco e l’altro che permette di comprendere con precisione lo stato di funzionamento del sistema nervoso autonomo (Malik et al., 1996; Shaffer&Ginsberg, 2017).

L’attività del sistema nervoso autonomo è determinata dal funzionamento di due rami neurali funzionalmente distinti (sistema simpatico e parasimpatico) che, interagendo continuamente e dinamicamente tra di loro, regolano la maggior parte delle funzioni fisiologiche come la respirazione, il sistema cardiovascolare e molte altre funzioni cruciali per il nostro benessere che non richiedono un controllo volontario.

Il ruolo del sistema simpatico (o meglio la dominanza del sistema simpatico rispetto quello parasimpatico) è soprattutto quello di indurre una maggiore attivazione fisiologica per fornire maggiore energia nel breve periodo (per esempio aumentando il battito cardiaco, il ritmo metabolico, vaso costringendo i capillari, ecc.) mentre il sistema parasimpatico (o meglio la dominanza del sistema parasimpatico rispetto quello simpatico)regola principalmente le funzioni fisiologiche dove la disponibilità energetica richiesta non è di carattere acuto ma viene distribuita in un tempo medio/lungo (sonno, digestione, recupero).

L’HRV offre misurazioni attendibili del funzionamento del sistema nervoso autonomo sia nella sua globalità che dello stato del sistema simpatico e parasimpatico fornendoci preziose indicazioni sulla funzione adattativa dell’organismo nei confronti delle sfide ambientali e psicosociali affrontate.

Gli indici di misurazione che fanno parte della HRV rappresentano la capacità regolativa dell’organismo nel modificare parametri fisiologici come il battito cardiaco, la pressione sanguigna, lo scambio gassoso, la vasocostrizione dei vasi sanguigni, il tono vascolare, la motilità dell’intestino, così come altre funzioni più psicologiche, come ad esempio la capacità di regolazione emotiva, cruciali per il nostro benessere e la nostra salute (Appelhans&Luecken, 2006; Carney et al. 2001; Shaffer&Ginsberg, 2017; Thayer&Brosschot, 2005; Thayer et al., 2012).

La variabilità cardiaca viene misurata attraverso alcuni indici che si riferiscono a due contesti distinti, quello temporale e quello relativo le frequenze (Malik et al. 1996; Shaffer&Ginsberg, 2017).

Il contesto temporale quantifica la variabilità delle misurazioni tra un battito cardiaco e quello successivo.

Di questo dominio sono particolarmente interessanti i valori del parametro SDNN (Standard Deviation of Normal-to-Normalintervals), che misura globalmente lo stato di salute clinico del sistema nervoso autonomo, e il parametro RMSSD (Root Mean Square of the Successive Differences) che misura lo stato di attivazione di un nervo particolarmente importante del sistema nervoso autonomo parasimpatico che si chiama nervo vago.

Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato quanto questo particolare nervo sia di fondamentale importanza per la comunicazione tra il cervello (incluso l’aspetto psicologico emotivo) ed il resto del corpo (sistema cardiocircolatorio, sistema digestivo, sistema respiratorio, etc.) compresa la funzione immunitaria, (Agnoletti, 2019; Agnoletti, 2020; Thayer et al., 2012; Tracey, 2002; Weber et al., 2010).

In particolare la letteratura ha dimostrato che il ramo efferente del nervo vago (quello che va dal cervello al resto dell’organismo) gestisce le infiammazioni percepite attraverso il ramo afferente (dove convergono le informazioni immunitarie dei principali sistemi ed organi dell’organismo verso il cervello) inducendo, tramite la produzione di acetilcolina, un’inibizione della citochina pro infiammatoria TNF (Tumor Necrosis Factor) secreta dai macrofagi (Tracey, 2002).

Solo recentemente abbiamo compreso che la gestione anti-infiammatoria da parte del nervo vago (chiamata anche CAP, Cholinergic Anti-inflammatoryPathway) viene funzionalmente inibita dall’attivazione delle aree cerebrali connesse alle emozioni negativesoprattutto relative le ruminazioni e i rimuginii (Beaumont et al., 2012; Blood et al., 2015; Chalmers et al., 2016; Taggart et al., 2011; Thayer et al., 2012).

L’attività del nervo vago è connessa con il funzionamento della corteccia frontale e dell’amigdala che sono fondamentali sia per la regolazione delle emozioni che per l’attivazione dell’asse neuro-endocrino dello stress ipotalamo-ipofisi-surreni (Appelhans&Luecken, 2006; Berntson et al., 1997; Thayer&Brosschot, 2005; Thayer&Siegel; 2002; Thayer et al., 2012; Urry et al., 2006), che per i comportamenti che determinano i nostri stili di vita (Gidron, et al., 2018).

Dalla letteratura sappiamo quindi che quanto più frequenti sono le emozioni negative maggiore è il grado di inibizione del nervo vago e minore sarà, di conseguenza, la sua efficacia immunitaria nel gestire le infiammazioni di tutto l’organismo.

La regolazione emotiva, fondamentale per gestire efficacemente le emozioni negative, è correlata alla HRV (Appelhans&Luecken, 2006; Beauchaine, 2001; Geisler et al., 2010; Thayer&Brosschot, 2005; Thayer& Lane, 2000; Tully, Cosh&Baune, 2013).

I valori di HRV sono correlati negativamente alla percezione di contesti potenzialmente pericolosi e positivamente correlati alla percezione di contesti valutati come “sicuri” attraverso l’attivazione di specifiche aree cerebrali in particolare dell’area ventrale della corteccia prefrontale (Buchanan et al., 2010; Thayer et al., 2012).

La letteratura presente indica che l’area corticale della corteccia prefrontale (PFC pre-frontalcortex) ha un ruolo fondamentale nell’effettuare valutazioni cognitive finalizzate alla regolazione emotiva (Eippert et al., 2007; Urry et al., 2006).

Tornando al concetto di HRV, il contesto delle frequenze misura invece la distribuzione della potenza assoluta e relativa di diverse bande di frequenze particolarmente informative del funzionamento del sistema nervoso autonomo (Malik et al. 1996).

Le più interessanti dal punto di vista clinico sono le “frequenze molto basse”(VLF- “very-low-frequency”), le “frequenze basse” (LF- “low-frequency”) e le “frequenze alte” (HF – “high-frequency”).

Mentre il parametro VLF è influenzato dalle emozioni negative soprattutto relative le ruminazioni e rimuginii (rispettivamente pensieri ricorrenti negativi relativi il nostro futuro od il nostro passato), il parametro LF viene considerato indicativo dell’attività del sistema nervoso simpatico diversamente da quello HF che invece rappresenta lo stato di funzionamento del sistema nervoso parasimpatico (formato principalmente dal suo nervo principale, il nervo vago).

L’indice LF/HF(LF/HF ratio) viene considerato rappresentativo del rapporto funzionale relativo i due sistemi nervosi appena descritti quindi se esso è maggiore di 1 significa che il sistema nervoso simpatico è dominante rispetto quello parasimpatico (tipico ad esempio delle persone che soffrono di ansia) mentre se il coefficiente è minore di 1 ad essere dominante è il sistema nervo parasimpatico (tipico di chi ad esempio soffre di depressione).

Considerando globalmente quanto appena esposto sia per quanto riguarda il contesto psicologico che per quanto riguarda quello più fisiologico, possiamo quindi avanzare l’ipotesi oggetto di questo scritto relativa le implicazioni della Prospettiva Temporale sugli indici identificati dalla HRV.

Più specificamente possiamo avanzare l’ipotesi che, se ciascun Profilo Temporale è caratterizzato da una specifica modalità psico-neuro-endocrina di gestione dello stress, a parità di altre condizioni, questo si riflette in specifiche e prevedibili configurazioni relative la variabilità cardiaca.

Per comprendere più facilmente la connessione proposta dalla nostra ipotesi ricordiamo qui che le persone che soffrono di stati ansiosi, pur condividendo con coloro che soffrono di stati depressivi il fatto di avere un sistema nervo autonomo sbilanciato non ottimale (quindi con indici SDNN della HRV relativamente bassi) oltre a vivere entrambi frequenti emozioni negative (rispettivamente rimuginii e ruminazioni rilavate dai valori VLF della HRV), presentano uno specifico sbilanciamento dello stato del sistema nervoso autonomo.

Questo squilibrio è rappresentato dalla dominanza funzionale del ramo simpatico rispetto quello parasimpatico che risulta ipoattivato (rilevati rispettivamente dai valori assoluti di LF e HF e da quello relativo la LF/HF ratio della HRV).

Nel caso delle persone che soffrono di stati depressivi entrambi i rami neurali del sistema nervoso autonomo, simpatico e parasimpatico, risultano ipoattivati (rilevati rispettivamente dai valori bassi sia di LF e HF) anche se è presente una dominanza funzionale del ramo parasimpatico (rilevato dalla LF/HF ratio).

L’ipotesi che abbiamo formulato prevede che, per esempio, il Profilo Temporale caratterizzato da un valore di Futuro significativamente alto, essendo correlato con maggiori problematiche legate all’ansia ed ai rimuginii rispetto la media della popolazione, dovrebbe essere positivamente correlato a valori statisticamente più bassi di SDNN, RMSSD e HF mentre dovrebbe esprimere valori VLF ed LF maggiori rispetto la media della popolazione oltre a possedere un rapporto LF/HF maggiore di 1.

Diversamente, il Profilo Temporale connotato da un valore alto di Passato Negativo, correlato quindi a più frequenti stati depressivi ed un numero maggiore di ruminazioni (pensieri ricorrenti emotivamente negativi rivolti ad eventi del proprio passato)dovrebbe corrispondere a valori statisticamente più bassi di SDNN, RMSSD, HF e LF e valori di VLF maggiori rispetto la media della popolazione oltre a possedere un rapporto LF/HF minore di 1.

Il Profilo Temporale con un alto Presente Edonistico, non essendo caratterizzato da frequenti emozioni negative così come i due profili appena menzionati ed avendo quindi una minore interferenza funzionale da parte delle aree emotive sul nervo vago (espresse da valori più bassi di VLF), dovrebbe presentare una migliore situazione sia del sistema nervoso autonomo nel suo complesso (valore SDNN più alto) che del nervo vago (valori alti di RMSSD) così come relativamente il valore del sistema nervoso parasimpatico (HF).

Anche coloro che si distinguono per avere un Passato Positivo più alto della media della popolazione dovrebbero possedere una HRV più favorevoli rispetto i primi due Profili Temporali appena citati per avere minori ruminazioni ed i rimuginii che si riflettono in valori minori di VLF e di RMSSD e HF maggiori.

Oltre ad essere interessante l’esplorazione in un futuro scritto delle possibili implicazioni teoriche che il profilo temporale ottimale possiede all’interno del contesto della HRV, è già possibile constatare un grado di coerenza dell’ipotesi qui presentata con tutta una serie di studi presenti in letteratura relativi le conseguenze fisiologiche di stati psicologici quali l’ansia e la depressione (Aldao&Mennin, 2013; Agnoletti, 2016c; Agnoletti, 2016d; Barr Taylor, 2010; Brosschot, Van Dijk&Thayer, 2007; Carney et al., 2001; Carney, Freedland&Stein, 2000; Kawachi et al., 1995; Perna et al., 2010; Pieper et al., 2010; Robinson et al., 2008).

Naturalmente, anche se esiste già una letteratura convergente con l’ipotesi della connessione tra specifici Profili Temporali e specifiche configurazioni di Variabilità cardiaca il prossimo passo è verificare empiricamente l’ipotesi stessa oltre ad affinare i dettagli delle possibili connessioni tra questi due settori della psicologia e della biomedicina.

Aldao, A. &Mennin, D. (2013). Differentiating Worry and Rumination: Evidence from Heart Rate Variability During Spontaneous Regulation. Cognitive Therapy and Research. 37. 10.1007/s10608-012-9485-0.

Agnoletti, M. (2020). La variabilità cardiaca come strumento di misurazione della resilienza. Magazine, 9, 26-31.

Agnoletti, M. (2019). L’impatto delle emozioni positive sulla nostra salute attraverso il circuito anti-infiammatorio colinergico. State of Mind, 8.

Agnoletti, M. (2017). Does a better time profile correspond to a better cortisol circadian rhythm and a better inflammatory condition? International conference proceedings SIPNEI and ISNIM neuroimmunomodulation, Rome, Italy.

Agnoletti, M. (2016a). L’Orientamento Temporale e la prospettiva psico-neuro-metabolica. State of Mind, 12.

Agnoletti, M. (2016b). Orientamento Temporale e Stress. PNEI NEWS, 5, 8-12.

Agnoletti, M. (2016c). Do time perspective orientations have different heart rate variability? International conference proceedings on Time Perspective, Copenhagen, Denmark.

Agnoletti, M. (2016d). PTSD’s time perspective profile is correlated with heart rate variability reduction. Which time perspective dimension is more correlated with that? International conference proceedings on Time Perspective, Copenhagen, Denmark.

Appelhans, B.M., Luecken, L.J. (2006). Heart rate variability as an index of regulated emotional responding. Rev. Gen. Psychol. 10, 229–240.

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Berntson, G.G., Bigger, J.T., Eckberg, D.L., Grossman, P., Kaufmann, P.G., Malik, M., Nagaraja, H.N., Porges, S.W., Saul, J.P., Stone, P.H., van der Molen, M.W. (1997). Heart rate variability: origins, methods, and interpretive caveats. Psychophysiology, 34:623–648.

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